Hari Reed è un’insegnante volontaria di 23 anni che tiene lezioni di lingua inglese e francese presso il Caffè dei Bambini a Calais, nel campo profughi dove ogni giorno trovano ospitalità numerose persone. Rifugiati che sono strati costretti a fuggire dalle atrocità della guerra e che comunque vivono in condizioni difficili e di disagio.
Secondo l’associazione Help Refugees, su 700 minori circa 608 non sono accompagnati. Ciò sta a significare che si tratta di orfani o di bambini separati dai genitori durante la traversata affrontata per fuggire dal paese natale. Ecco perché il Kids Café è ormai un punto di ritrovo, gestito da volontari come Hari, che non solo offre protezione, cure e assistenza ai più giovani, ma si occupa delle procedure per le richieste di asilo, prepara circa 200 pasti al giorno: rappresenta dunque uno spazio che i bambini possono sentire loro e nel quale possono sentirsi al sicuro. Fattori non di poco conto, essendo ormai noto che nei campi profughi e nei rifugi per gli immigrati molto spesso i bambini scompaiono o sono vittime di violenza di ogni genere.
Per questo quando le autorità francesi hanno dichiarato di voler chiudere tutti i “locali” nel territorio, per questioni di sicurezza e igiene, Hari Reed non ha esitato a lanciare una petizione nel web con l’intento di raccogliere le firme per impedirne la chiusura.
“Il Caffè dei Bambini NON è un locale, NON è un business” ha scritto Hari. E ancora “È parte dell’organizzazione non-profit Jungle Books, si mantiene grazie alle donazioni, e tutto il cibo dato ai ragazzi è gratis. Se il Caffè dei Bambini venisse chiuso, la “giungla” semplicemente diventerebbe un posto ancora meno sicuro per i minori non accompagnati”.
Così la decisione è stata posticipata al 12 agosto, data nella quale le autorità francesi hanno deciso di lasciare aperto il Caffè, probabilmente anche grazie alle quasi 184.000 firma raccolte dalla petizione di Hari.
Come la stessa insegnante ha dichiarato, si tratta di una prima vittoria per i bambini del campo denominato “the Jungle”, i quali hanno urgentemente bisogno di case vere, scuole vere e di una reale sicurezza in un Paese che li accolga. Ma intanto sapere di poter contribuire, seppur in minima parte, a rendere meno traumatico e spaventoso questo momento di transizione è già una soddisfazione non da poco.
Hari inoltre, nella sua petizione, ha voluto sottolineare come il semplice insegnamento dell’inglese e del francese ai giovani rifugiati sia un passo significativo nel processo di integrazione culturale dal momento che li aiuta a non sentirsi per sempre stranieri ed intrusi in una società che può dare loro la vita tranquilla a cui hanno diritto.
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