“Aboliamo tutte le tasse universitarie”, è la proposta lanciata dal presidente del Senato, Pietro Grasso, all’assemblea nazionale di Liberi e uguali, dove ha specificato che la misura “costa 1,6 miliardi”.
E cosa volte che siano, aggiunge Grasso, 1,6 miliardi di fronte alla sete di sapere dei nostri giovani e al bisogno della nostra Nazione di avere cittadini istruiti?
E appunto, che cosa sono? Pinzillacchere, abolendo le quali si fa pure un servizio a chi le tasse, potendole pagare, in questo modo non le paga.
La proposta tuttavia del buon presidente Grasso, è stata subito bocciata dal ministro per lo sviluppo economico Carlo Calenda: “La proposta di Pietro Grasso sull’abolizione delle tasse universitarie per tutti si caratterizza come un supporto fondamentale alla parte più ricca del Paese”.
Sostenere i costi delle università con la fiscalità generale “è l’opposto di quello che immagino Liberi e uguali vuole fare, è una cosa ‘trumpiana’ non di sinistra”, perché così anche i cittadini meno ricchi (che oggi sono di fatto esentati) pagherebbero le tasse anche per quelli più ricchi.
In soccorso di Grasso è però arrivato Pier Luigi Bersani: “Vorrei dire al ministro Calenda di avere un pò di umiltà in più: non è una proposta alla Trump, è una proposta alla tedesca. Noi scriviamo nel programma ‘progressiva gratuità dell’accesso all’università’ perché pensiamo, in prospettiva e avendo una fiscalità più progressiva, di fare come fa la Germania, cioè di mettere anche l’istruzione universitaria nell’universalismo dell’istruzione”.
Ora, al di là della querelle tra Grasso e Calenda, e l’ingresso di Bersani, ciò che occorre sottolineare è il fatto di come ogni cosa, ogni brusio, ogni pilucco diventi oggetto di contesa e di scontro elettorale.
Eppure, basta vedere i dati Inps, secondo i quali al 21 novembre 2017 – a fronte di un milione e 600 mila iscritti all’università – sono state presentate oltre 543.000 dichiarazioni Isee attestanti una posizione al di sotto dei 15.000 euro. La soglia per l’esenzione prevista dalla legge è in effetti 13.000 euro, ma molte università l’hanno elevata a 15.000 e alcuni atenei addirittura a 23.000 euro. Dopo il primo anno di studi universitari, per restare nella ‘no tax area’ bisogna aver acquisito un certo numero di crediti formativi e non superare il primo anno fuori corso.
E allora , rispetto al 2016/17- si legge sul Sole 24 Ore- il taglio delle tasse universitarie è stato rilevante: uno studente della Statale di Milano con Isee a 10mila euro ha visto la sua retta annua ridursi dai 500 euro del 2016 alla sola tassa regionale per il diritto allo studio, pari a 140 euro.
Così alla Sapienza di Roma non si pagano più gli oltre 600 euro d’iscrizione a un corso scientifico ma semplicemente la tassa regionale.
I benefici sono concessi anche fasce di Isee più alte, da 13 a 30.000 euro: la legge stabilisce infatti che il contributo annuale non può superare il 7% della quota Isee eccedente i 13.000 euro.
Nel concreto, in caso di Isee di 15.000 euro si paga al massimo 140 euro, e per un Isee di 30.000 euro non si possono superare i 1.190 euro.
Abbiamo dunque il fondato timore, che la prossima campagna elettorale sarà incentrata su “chi la spara più grossa”, anche se l’obiettivo principale, il target sotto mira, sono le tesse, tutte le tasse, qualsiasi tipo di tasse: dal bollo auto, al canone Tv, all’Irpef e così via. Ci aspettiamo pure una soffiata perfino sulla loro evasione, cioè l’invito a non pagarle, tanto sembra proprio che chi le evade alla fine venga pure premiato.
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