Antichissima la storia della Befana il cui nome coincide con l’Epifania, dal greco “apparizione” da cui anche i termini “diafano”, “finestra” ecc.
Con oggi la Chiesa commemora l’apparizione dell’astro che guidò i “maghi” sapienti alla culla di Gesù: Melchiorre , in rappresentanza dei semiti ( i discendenti di Sem, il secondo genito di Noè), Gaspare in rappresentanza dei camiti (da Cam che avendo visto Noè nudo perse la primogenitura) e Baldassare della stirpe dei giapetidi, discendenti del terzo genito Jafet, i quali offrono al bambinello oro, come simbolo di sovranità, incenso di divinità, mirra simbolo della sua vita mortale.
Il termine “magi” verrebbe dal persiano antico e si tratterebbe di sacerdoti dello zoroastrismo, una religione basata sugli insegnamenti del profeta Zarathustra, mentre nei vangeli, l’unico a parlare dei Magi è Matteo che però non riporta i nomi. Si pensa che questi siano stati aggiunti al mito secoli dopo. In particolare i nomi Melchiorre, Baldassarre e Gaspare verrebbero da un manoscritto greco che risale al quinto o al sesto secolo, scritto ad Alessandria d’Egitto e arrivato con una traduzione di alcuni secoli dopo.
Infatti in alcune comunità cristiane vengono usati nomi diversi: in Armenia si sono diffusi i nomi Kagpha, Badadakharida e Badadilma, mentre in Etiopia si parla di Hor, Karsudan e Basanater e in Siria di Larvandad, Gushnasaph e Hormisdas.
Diverso il discorso sulla stella cometa che secondo la tradizione indicò la strada ai Re Magi per raggiungere il nuovo Re dei Giudei.
Non c’è traccia della descrizione della classica coda che fu per la prima volta ritratta da Giotto che ebbe modo di vedere nel 1301 la cometa di Halley e alla quale ispirò il suo dipinto della natività nell’affresco della Cappella degli Scrovegni a Padova.
Fu da allora che la stella con la coda, così come la conosciamo anche oggi, entrò a pieno titolo nell’iconografia tradizionale della Natività.
Coi Re Magi anche la storia della Befana, Epifania, che discende da tradizioni magiche e misteriche precristiane, rappresentata da una vecchietta con il naso lungo e il mento aguzzo, che viaggiando su di una scopa porta doni a tutti i bambini.
La sua origine sembra risalire agli antichi riti propiziatori pagani legati ai cicli stagionali relativi al raccolto dell’anno che verrà e dunque alla fine dell’anno solare. Infatti i romani celebravano la dodicesima notte dopo il solstizio invernale, immaginando la morte e la rinascita della natura attraverso la Madre Natura che come figura femminile vola sui campi coltivati, per propiziare la fertilità dei raccolti.
L’aspetto da vecchia sarebbe, secondo altre tradizioni, una raffigurazione simbolica dell’anno vecchio che dunque si può bruciare. Dall’antico rito del falò, deriverebbe dunque il carbone inserito nelle calze o nelle scarpe insieme ai dolci, in ricordo, appunto, del rinnovamento stagionale.
Ma perché proprio la scopa? Potrebbe essere una rappresentazione dei roghi delle streghe nell’immaginario medievale, in cui il manico raffigura il palo in cui la strega veniva legata e la saggina la catasta di legna.
Tuttavia la scopa volante era anche un antico simbolo della rappresentazione della purificazione delle case (e delle anime), in previsione del nuovo anno e anche di fertilità, tanto è vero che ancora oggi in alcuni paesi gli sposi saltano insieme la scopa realizzata con fascine di ginestra per rendere felice e fecondo il matrimonio.
Ma c’è pure una bella e singolare leggenda secondo cui i Magi, non riuscendo a trovare la strada, chiesero informazioni ad una vecchietta che indicò loro il cammino. Allora la invitarono ad unirsi a loro, ma lei rifiutò. Una volta che i Re Magi se ne furono andati, essa si pentì di non averli seguiti e allora preparò un sacco pieno di dolci e si mise a cercarli, ma senza successo. La vecchietta, quindi, iniziò a bussare ad ogni porta, regalando ad ogni bambino che incontrava dei dolcetti, nella speranza che uno di loro fosse proprio Gesù Bambino.
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