I lettori ci scrivono

La beffa del sistema previdenziale

Sono un’insegnante di italiano e latino di liceo scientifico motivata, appassionata e creativa, almeno per quanto vale la mia parola. Sono nata nel 1963 e lavoro ininterrottamente dal 1987 quando, dopo la laurea conseguita, in corso, nel 1986, ho avuto le prime supplenze, diventate annuali (dell’allora provveditorato) nel 1990, per poi entrare di ruolo nel 1991. Eventi salienti, relativi ai contributi pensionistici, negli anni successivi sono un passaggio a part time a 14 ore (nascita della seconda figlia) per tre anni, e un secondo part time sempre a 14 ore, dal 2018 a oggi. Un calcolo certo non precisissimo mi porta a definire l’ammontare dei contributi da me corrisposti allo stato a 400000 euro.
Ora, con la triplice motivazione di ritenermi appagata dal mio percorso lavorativo, di non voler condividere con le giovani generazioni affidatemi l’inevitabile declino e di considerare fondamentale lasciare spazio ai giovani, vorrei andare in pensione, chiedendo il riscatto agevolato (ho avviato la pratica) e rinunciando quindi al calcolo retributivo che mi spetterebbe in parte, passando al penalizzante contributivo.
A parte il fatto che la questione sia collegata a un meschino calcolo di giorni “lavorati”, per cui la consuetudine che “astutamente” le scuole interrompessero la supplenza in occasione delle vacanze natalizie o pasquali per poi riprenderla subito dopo inciderà magari pesantemente (le soglie son fatte per questo) sul calcolo dei miei giorni di lavoro, mi domando come si osi ancora denominare previdenziale un sistema che, almeno per le generazioni nate dagli anni sessanta in poi, dopo aver risucchiato come un’idrovora contributi, tiene prigionieri quelli che anagraficamente sono dei vecchi, dei quali si lamenta periodicamente (“quella italiana è la scuola più vecchia d’Europa”) e che, non pago di aver debitamente tassato, richiede che ora paghino ulteriormente, con un passaggio al contributivo e oneri di riscatto laurea beffardamente detto “agevolato”.
Mi chiedo, ed è la ragione per cui scrivo, se altri si sentano vittime di un’usurpazione come me. Sarebbe stato meglio, almeno per me, non pagare alcun contributo, guadagnare di più e andare in pensione quando sentissi che fosse venuto il momento.

Cinzia Botta

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