Il merito professionale si sta sempre più rivelando uno dei totem del governo gialloverde composto da M5S e Lega. Anche nel pubblico impiego. Lo ha detto, con convinzione, la nuova ministra per la P.A, Giulia Bongiorno, nel corso del primo incontro tenuto con i sindacati, a palazzo Vidoni: la politica che si porterà avanti, ha detto, sarà quella dei “premi” laddove si “lavora bene”, anche perché un “dipendente pubblico più felice e più sereno ti cambia la vita”. E il principio vale sia per tutti: impiegati, quadri e dirigenti.
La Buongiorno, in linea con il collega dell’Istruzione, Marco Bussetti, non ha alcuna intenzione di attuare una “riforma epocale” nella P.A.: ma leggi e decreti, riassume l’Ansa, non mancheranno.
E ciò nonostante le difficoltà che deriverebbero da “un’eredità pesante”. Per ora non c’è un piano di lavoro dettagliato ma la direzione è chiara.
Cgil, Cisl e Uil hanno subito posto il loro elenco di priorità, tra cui spicca la richiesta di rinnovo dei contratti. Può sembrare un paradosso, ma la tornata appena chiusa sarà presto superata. Dal 2019 scatta, infatti, il nuovo triennio.
Questo significa altre risorse. Di certo, per finanziare gli aumenti stipendiali, dalla scuola alla sanità, ce ne vogliono e il budget deve essere previsto in manovra. Una partita che si giocherà ad ottobre e sui cui la ministra assicura: “spingerò”.
I sindacati però vogliono anche altro, la Cgil con Serena Sorrentino e Franco Martini chiede “il varo di un piano straordinario per l’occupazione nella P.A che vada oltre lo sblocco del turnover”, visto che non basterebbe a colmare il vuoto lasciato dai pensionamenti.
La Uil con Antonio Foccillo ricorda che c’è da mettere su “la commissione paritetica per le nuove professionalità”. Una task force che dovrebbe ridisegnare la geografia del pubblico impiego. In generale, per Ignazio Ganga della Cisl occorre “ripensare il lavoratore pubblico come risorsa per uno Stato efficiente”.
Sulla stessa linea Massimo Battaglia della Confsal, che per i travet domanda “non solo soldi ma anche rispetto”.
Al tavolo del 27 luglio, c’era anche Marcello Pacifico, di Anief-Cisal, che ha chiesto di “salvare l’istruzione dal tracollo” con “profondi interventi su precariato, stipendi, organici e mobilità”.
La Cgs raccomanda invece prudenza sugli interventi che riguardano la mobilità dei lavoratori. Al tavolo erano anche presenti,infine, le rappresentanze dei dirigenti, a partire da Unadis, che aspettano ancora di siglare il contratto 2016-2018 e per i quali si prospettano cifre non esaltanti.
L’ultima notazione è sulla scuola. Cosa significherebbe in termini pratici, per docenti e Ata, introdurre il merito professionale? Perché con gli aumenti arrivati, dopo nove anni di blocco stipendiale, i compensi mensili si sono mossi in avanti davvero di poco: gli 85 euro lordi medi si sono trasformati in una cinquantina di euro scarsi netti testa. Davvero poco.
Ecco, quindi che il merito professionale potrebbe rappresentare una via alternativa per incrementare le buste paga. Comunque la si metta, tuttavia, occorrono finanziamenti pesanti. Perché con i pochi milioni di euro previsti dalla Buona Scuola, quest’anno sono stati assegnati in media, ai due docenti su tre prescelti, tra i 200 e i 300 euro annui lordi cadauno. Con effetti reali, spalmati sui 12 mesi, di una cifra che varia tra i 10 e i 20 euro a testa al mese in busta paga.
A questi si sono potuti aggiungere gli “spiccioli” derivanti dal Fis. Anzi, per gli Ata, sono arrivati solo quelli.
Se questo è il giusto premio al merito, per avere preso in consegna responsabilità non indifferenti, progetti, funzioni, coordinamenti e quant’altro, allora non ci siamo proprio.
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