Personale

La bozza Bianchi su reclutamento: niente di nuovo, molto di preoccupante

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la seguente riflessione di Giovanna Lo Presti, portavoce CUB SUR.

Eccoci finalmente di fronte alla Bozza intitolata “Riforma della formazione iniziale e continua e reclutamento degli insegnanti – Novella al decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59”.

Il testo era annunciato ed atteso e, siccome è ancora una bozza, modificabile in melius o in peius, cercheremo di non sottoporla ad un’analisi serrata ma di inserirla nel contesto e di coglierne le linee generali. Dall’oggetto della Bozza, che Bianchi vorrebbe approvare di gran fretta, deduciamo che il sistema attuale necessiti di modifiche.

Per rispondere alla domanda “cosa c’è che oggi non funziona?”, guardiamo però che cosa è successo negli ultimi tre decenni rispetto ai suddetti, scabrosi temi:

1989: viene introdotto il “doppio canale“, ministro della Pubblica Istruzione Sergio Mattarella

1990: con la legge 19 novembre 1990, n. 341 vengono previste le Scuole di specializzazione all’insegnamento secondario (SISS). Ci metteranno parecchi anni per andare ad effetto. 1996: le SISS iniziano il loro percorso. Naufragheranno nel 2009

2010: viene introdotto il TFA (tirocinio formativo attivo) con il Decreto Ministeriale 10 settembre 2010, n. 249. Al Miur è ministro Maria Stella Gelmini

2013: vengono introdotti i PAS (Attivazione di corsi speciali per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento) con il Decreto Ministeriale n. 58/2013. Il ministro è Francesco Profumo

2017: arriva la FIT (Formazione iniziale e tirocinio) l’ennesimo nuovo sistema di reclutamento dei docenti, approvato dal decreto legislativo 59/2017. Ministro Valeria Fedeli

2018: la FIT dura poco. Il nuovo ministro, Bussetti, introduce il “concorso secco” abilitante.

Se dovessimo riassumere a che punto siamo, adesso, metteremmo a dura prova il povero lettore.

Ci limitiamo a ricordare com’è andata la prova computer based (50 quesiti in 100 minuti) del concorso ordinario che si sta ancora svolgendo: è stata una strage di candidati. I dati complessivi di fine marzo denunciano un 90% circa di bocciati. Colpa del passato e di prove inadeguate, afferma l’attuale Ministro.

E noi vogliamo che Bianchi abbandoni viale Trastevere senza aver trovato una soluzione al busillis del reclutamento dei docenti? E noi desideriamo che proprio Patrizio Bianchi non lasci il suo marchio? Chi si ricorderebbe di lui, senza una nuova “riforma” del reclutamento dei docenti? Insomma, si verifica qui la stessa situazione che si crea quando un idraulico deve intervenire su un lavoro fatto in precedenza da un suo collega: troverà che è stato fatto male, che sono stati usati materiali inadeguati etc. E così dirà, del suo lavoro, il prossimo idraulico.

Eppure, sospettiamo che il vorticoso succedersi di modifiche e riforme negli ultimi trent’anni debba aver avuto qualche giustificazione. Bisogna in ogni caso distinguere tra intenzioni ed effetti delle “riforme”. Gli intenti dichiarati del “vortice riformista” sono pressappoco questi:

a) risolvere il problema del precariato;

b) istituire scadenze regolari per il reclutamento;

c) formare in ingresso e selezionare il personale, garantendone la qualità “alta”;

d) affermare l’idea della formazione continua e della “carriera” dei docenti (tema affrontato con diversa intensità nelle varie riforme).

A tutt’oggi, nessuno di questi obiettivi è stato raggiunto; il gran pasticcio che ha caratterizzato il reclutamento dei docenti ha avuto, come effetto indesiderato, un’omologazione del personale, vessato da anni di precariato e dalla necessità di superare prove impostate non certo in modo intelligente. I “nuovi” docenti passati attraverso la porta stretta di Ssis, TFA, FIT si sono talvolta fatti alfieri di quelle “metodologie didattiche” che hanno sostituito, nell’immaginario di troppi insegnanti, la capacità di cogliere in modo critico l’origine delle difficoltà del loro lavoro e, cosa assai seria, hanno usurpato il posto che spetta alla passione per lo studio della propria disciplina (tanto quello che conta è il metodo, anzi la “metodologia”!).

La necessità che si è ciclicamente determinata di sanare il problema del precariato storico ha, d’altro canto, favorito percorsi facilitati verso l’assunzione a tempo indeterminato.

Pura schizofrenia: da un lato si vessano i “nuovi insegnanti” con percorsi tanto faticosi quanto, mediamente, inutili e si fa loro il lavaggio del cervello rispetto a quelli che devono essere i compiti e le modalità di azione dell’insegnante; dall’altro si immettono in ruolo (quasi ope legis) gli “anziani” con decenni di anni di servizio alle spalle: essi talvolta sono ottimi insegnanti e talvolta no.

E non parliamo di quei casi in cui lo Stato, per rispettare le sue stesse norme (che tende spesso, purtroppo, a ignorare), ha immesso in ruolo persone che, avendo un titolo di studio abilitante, non avevano più messo piede in una scuola dal momento del diploma.

Insomma, i sofisticati “meccanismi ad orologeria” messi a punto Ministro dopo Ministro hanno fallito in tutti i campi. Ma non in uno: quello di costringere i precari ad una vita molto disagiata, di farli passare sotto le forche caudine di concorsi ridicoli per poi bocciarli e rimandarli in classe a “stagionare” ancora un po’, nella veste di precari. Nel frattempo, la sacca costituita dal venti per cento del personale docente precario permette allo Stato un buon risparmio.

Alla fine il risultato è quello di aver fiaccato e sfruttato intere generazioni di insegnanti; i quali, peraltro, invece di mandare al diavolo ogni ipocrita discorso sulla “meritocrazia” usano troppo spesso come estrema arma di autodifesa quella di proclamare l’amore per il proprio lavoro e l’entusiasmo che li pervade ogni volta che entrano in classe.

Basta leggere le numerose testimonianze che compaiono in rete dopo l’ultima, tragica, tornata selettiva per capire che quel moto di giusto orgoglio che ci si aspetterebbe dalla classe docente è ancora molto al di là dal venire.

In questo assurdo “gioco delle parti” un ruolo ridicolo tocca soprattutto a chi governa tale grottesco balletto. Patrizio Bianchi non è da meno dei suoi predecessori: il reclutamento proposto dalla Bozza consta di un percorso a tappe forzate, lungo, confuso, incerto a conclusione del quale, se tutto va bene, il neo-docente riuscirà ad ottenere un posto (quasi) fisso e meno di 1.500 euro al mese, con una lentissima progressione stipendiale.

Però, propone Bianchi, se l’insegnante si aggiornerà e supererà qualche altra prova, la “carriera” potrà essere accelerata. Sai che novità! Le “note di qualifica” (date dal preside) e il “concorso per merito distintosono stati aboliti nel 1974: erano meccanismi di accelerazione della carriera meno confusi di quelli proposti oggi dal Ministro Bianchi.

Chiediamo a Bianchi se non sarebbe stato meglio rinnovare in modo equo un contratto ormai scaduto da tempo e, per il reclutamento, tornare alla Costituzione, che indica la via per assumere i dipendenti pubblici: concorsi, banditi con cadenza regolare.

La vergogna di selezionare i docenti con una prova scritta a crocette non ha commento; ma è la spia di quanto siano false, pelose e in malafede tutte le favole sullo “spirito critico” e sulla formazione dei docenti. A meno che per “formazione” non si intenda rimbecillimento acquiescente di persone chiamate ad educare le giovani generazioni.

Giovanna Lo Presti, portavoce CUB SUR

Redazione

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