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La Buona Scuola: alcune riflessioni sulla proposta del Governo Renzi

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Le tanto attese linee guida sulla scuola sono online (passodopopasso.italia.it); da qui per due mesi la parola passa ai cittadini. Se la «la scuola è il punto di partenza. Non uno dei tanti punti bensì il punto», come dichiarò il premier Renzi nel discorso programmatico, a maggior ragione questo start domanda il coinvolgimento di uomini e donne di scuola.

La proposta è di un “patto formativo” che implica reciprocità, con lo scopo finale di «costruire una occasione di bellezza educativa per i nostri figli e per le famiglie che spesso vedono nella scuola non un posto dove stare sicuri ma di preoccupazione» (3 settembre, ora “X”). Eufemismo che richiama a buchi neri nel sistema, generalizzati ma non uniformi… perché la speranza è l’ultima a morire.

Tecnica della Scuola non ha mai mancato i cardini della questione, che l’occhio attento ritrova in una logica sottesa alle linee guida.

Il documento fa leva sul corpo docenti e lo mette a fuoco, per risollevare la scuola. Si archivia definitivamente il tacito ruolo dell’insegnamento come ammortizzatore sociale e si apre ai docenti lo spazio di formazione e di carriera nella scuola. La misura era evidentemente colma e chi vive di scuola e nella scuola, ma anche il cittadino genitore, ne comprende perfettamente la ragione: una classe lavorativa apatica, assuefatta, appiattita sarebbe prima o poi implosa. Molti elementi concorrono a fare buona la scuola, ma quello del buon maestro è necessario.

Solo il buon maestro fa la buona scuola. Se per un aspetto si vuole porre una pietra tombale sul precariato e sulla supplentite, per un altro si punta a riscattare la professione docente con affermazioni che qualche anno fa, pur ritenute valide, non sarebbero risalite in punta di penna: «dobbiamo avere il coraggio di dire che si devono giudicare gli insegnanti e gli scatti devono essere sulla base del merito e non sulla base dell’anzianità».

Tale condizione necessaria per la buona scuola (il docente meritevole) apre a conseguenze strutturalmente inevitabili, che di questa condizione sono figlie: “la vera autonomia: valutazione, trasparenza, apertura, burocrazia zero” (cap. III), per migliorare la scuola. Occorre perciò (pag. 65) “un modello di valutazione che renda giustizia al percorso che ciascuna scuola intraprende per migliorarsi e allo stesso tempo costituisce un buono strumento di lettura a chi è esterno alla scuola”. E non sfugga la stoccata finale: il Sistema Nazionale di Valutazione sarà reso operativo dal prossimo anno scolastico per tutte le scuole pubbliche, statali e paritarie”.

Difficilmente un ministro della Repubblica avrebbe qualche anno fa, non si pensi scritto, ma anche solo pronunciato i tre aggettivi, con l’intonazione corretta della virgola: la caduta del Governo sarebbe stata assicurata. Il Ministro Giannini aveva preso le sue precauzioni attraverso una riflessione dalla logica stringente: ”è sempre più indispensabile compiere un processo culturale che restituisca il corretto significato etimologico alle parole” (25 giugno).

“Pubblico è ciò che è fatto per l’interesse pubblico, quindi non implica necessariamente e solo la gestione statale. Se parlando di questo tema non riusciamo a superare questa apparente dicotomia tra destra e sinistra di ciò che in fin dei conti rappresenta solo un errore lessicale, non arriveremo mai ad una educazione di qualità, ad una scuola libera, inclusiva e competitiva».

Ormai il punto è fermo: al di là dell’ideologia, cancro non del tutto estirpato dell’intelligenza, il cittadino deve e può chiedere ad un Governo – che a) ha dichiarato che la scuola è il punto di partenza, b) ha affermato che la scuola pubblica è statale e paritaria con tutto ciò che implica – questo cittadino è obbligato a esigere che l’Italia, in quanto Stato di diritto, recuperi la propria responsabilità di attore capace di “garantire” i diritti che riconosce. Pena la contraddizione, che equivale a dire e disdire, cioè ad essere come un tronco (Aristotele). E’ evidente che si richieda ai cittadini responsabili non mollare la presa.

Di conseguenza, il documento approfondisce e si espone sempre più: “Servirà lavorare per dare alle scuole paritarie (valutate positivamente) maggiore certezza sulle risorse loro destinate, nonché garanzia di procedure semplificate per la loro assegnazione”. Ecco i due nodi centrali: certezza di risorse e procedure snelle perché oggi le poche e incerte risorse sono requisite dagli Usr. Poco male che la conseguenza sia il dimezzamento (se non la sparizione) dello stipendio di centinaia di docenti titolati delle scuole pubbliche paritarie. Addio duplice: alla pluralità di offerta formativa e alla libertà di scelta educativa da parte dei genitori, che si troveranno a non poter più esercitare tale diritto, poiché nulla più potranno scegliere…

Legare i finanziamenti in una logica progressiva (cfr pag. 119) alla qualità della scuola e all’effettivo miglioramento degli Istituti è cosa non solo saggia, ma l’unica possibile. Una spending review che si rispetti abbandona i finanziamenti irresponsabili e ciechi, introducendo le leve del merito per i docenti, spinti ad acquisire competenze sempre maggiori. Si restituisce quindi dignità alla classe docente, si riorganizzano le scuole per superare lo spreco e si impiegano queste risorse a migliorarle; si raggiunge l’efficienza nella gestione anche attraverso maggiori poteri decisionali e gestionali ai dirigenti, con competenze appropriate che non possono non avere.

Il futuro vede figure di dirigenti manager nel contesto di una buona governance, capaci di selezionare i docenti migliori – unica vera ricchezza della scuola pubblica che è di tutti – e di programmare nella logica del budget, termine vituperato e bandito negli anni ruggenti ma strumento funzionale e al servizio della buona scuola, fatta dai docenti meritevoli e dalle famiglie che li riconoscono e li scelgono. Rassegnamoci: non tutti i laureati sono fatti per diventare docenti, né tutti gli abilitati lo sono diventati, essendolo effettivamente. Si dirà: scoperta dell’acqua calda! Certamente, ma è esperienza quotidiana e plurima. Il problema è a monte; inutile stare a valle, cioè mettere pezze inutili alla soluzione. Infatti era stato dichiarato dal premier : «Metteremo più soldi, ma facendo comunque tanta spending review: perché educare non è mai un costo, ma gli sprechi sono inaccettabili soprattutto nei settori chiave»
Non saranno sprecati gli stipendi degli Ispettori – il cui apporto è definito “fondamentale” – se equilibrati, competenti e poco ideologici.

Valutazione e Valorizzazione della classe docente. Occorre ripartire da chi insegna, da docenti stimati che ricominceranno a credere in se stessi e quindi a migliorarsi e a formare altri colleghi – oltre che a formare alunni di sano spessore culturale e umano. Se questo non si pone come obiettivo, la scuola non serve, o peggio è dannosa: meglio eliminarla e ci pensino direttamente i genitori (homeschool), soprattutto se, a loro, scegliere una buona scuola pubblica, paritaria ad esempio, effettivamente non è stato concesso, benché abbiano pagato con l’imposizione fiscale tutto il costo della scuola pubblica, statale.

A questo proposito, se il documento non sembra risolvere in modo immediato tale questione che uccide il diritto della famiglia, l’auspicio è che almeno maggiori risorse certe alla scuola pubblica paritaria e l’approfondimento del bonus fiscale per i privati che investiranno nella scuola (pag. 124 ss) contribuiscano ad allargare la possibilità di scelta educativa a tutti di una buona scuola pubblica, statale e paritaria.. Perché come scoprì l’Europa nel 2012, senza libertà di scelta educativa non c’è libertà di insegnamento e (pag 67) :”il piano di accesso ai dati sulla scuola deve stare alla base dell’autonomia scolastica: serve ai genitori che vogliono essere consapevoli della scelta della scuola per i propri figli.” Qui sembra recuperarsi tutta la dignità della famiglia che viene posta al centro nella sua responsabilità formativa e al conseguente esercizio della libertà di scelta educativa (art. 30,33 cost. e Risoluz. UE 1984 e 2012).

Se si ripartirà da questo punto senza cedere alla tentazione di una sistema scolastico statalista, la partita è ancora aperta e i contributi dei lettori – docenti inclusi – non mancheranno, perché…. “ne va la vita!” (Manzoni).