Ne parla il sito Skuola.net che riporta quanto sostiene l’esperto, per il quale i voti dividono e creano confronti e competizioni tra ragazzi, mentre la scuola deve saper correggere, non bocciare.
La domanda che si pone l’esperto è: l’attuale organizzazione scolastica riesce a valorizzare i talenti degli adolescenti? E la risposta non è rosea: “Le modalità e i criteri utilizzati nella valutazione dei nostri studenti rappresentano uno dei segnali più preoccupanti. Un messaggio della povertà della scuola e delle competenze di molti suoi interpreti”.
“Quando, ad esempio, la valutazione si presenta imbrigliata in una assurda logica matematica, con voti scolastici appesantiti e mortificati da unità decimali (4,9 in un compito di latino, 3,8 in greco, 5,95 in inglese, 2 meno, meno, meno in matematica), la nostra scuola viene meno a quello che dovrebbe essere uno dei suoi principi fondamentali di deontologia professionale: sostenere le persone nei momenti di difficoltà e rimotivarle. A volte (zero più…), sfiorando gravemente il ridicolo e alimentando una specie di galleria degli orrori o, per essere più moderati, delle sciocchezze scolastiche. Questa pratica della valutazione, appesa al bilancino del farmacista, è stupida e nociva. Non è più tollerabile e deve essere immediatamente fermata”.
“La valutazione deve essere formativa: il cuore delle strategie dell’apprendimento. A volte, invece, i voti a scuola e i giudizi che noi insegnanti trasmettiamo, sembrano quasi materializzare frustrazioni, preoccupazioni e le nostre aspettative tradite. L’alibi delle frustrazioni che questi voti scolastici possono determinare e che, secondo alcune insistenti scuole di pensiero, rappresenterebbero un percorso obbligato e una condizione indispensabile per la formazione delle persone, ignora i problemi della quotidianità e, soprattutto, non regge di fronte alla grave perdita che ogni anno dobbiamo registrare a proposito di dispersione scolastica e di abbandoni. Le persone in difficoltà, quelle più fragili, devono essere sostenute e non ferite. E quando le perdiamo, è una sconfitta per tutti”.
Dell’Oro scrive ancora: “I voti, innanzitutto, devono essere aboliti nella scuola primaria. Con una riflessione da fare per quanto riguarda la scuola secondaria di primo e di secondo grado. I voti scolastici possono essere un’arma impropria e interferire, soprattutto nell’infanzia e nella prima adolescenza, con la qualità delle relazioni e la possibilità di fare gruppo in una comunità scolastica”
“I voti scolastici dividono, creano confronti e, quindi, preoccupazioni e ansia. Colpiscono l’autostima e, in troppi casi, annullano il desiderio di scoprire e di imparare. I danni che possono creare su un equilibrato e sereno sviluppo psicofisico e relazionale sono incalcolabili. In questo campo, quello della valutazione, senza affidarsi a improbabili riforme, si può fare una rivoluzione. Subito e con poco. Serve solo un pizzico di equilibrio e di buon senso. Autorevolezza. E qualche vincolante indicazione ministeriale”.
“Se vogliamo modificare i dati relativi agli abbandoni e alla dispersione scolastica, la scuola deve essere presentata e vissuta come il luogo elettivo per l’errore. Non per enfatizzare tale evenienza, ma nel momento della difficoltà, nel momento in cui si sbaglia o non si riesce a trovare una soluzione, il messaggio che deve arrivare ai nostri ragazzi è il seguente: «Attenzione, così non va bene! Ma, tranquilli, siete nel posto giusto e ora, insieme, cerchiamo la soluzione”.
Ricordiamo tuttavia che la reintroduzione del voto numerico nella scuola primaria e secondaria di primo grado, fu voluto dall’ex ministra Mariastella Gelmini, basandosi sul principio che ai genitori venisse assai più semplice verificare a colpo i profitti del figliolo, piuttosto che impelagarsi sulla decifrazione, spesso poco chiara e concludente, dei giudizi sintetici e analitici dei vari professori. Una valutazione però in ogni caso veniva fatta, mentre crediamo che il paradigma fornito dall’esperto possa pure ingenerare alibi da parte di studenti neghittosi, più prepensi al gioco che allo studio, che comunque rimane sacrificio e impegno.
Però una riflessione attenta su quanto sostiene Dell’Oro sarebbe pure il caso di farla