La Buona Scuola e la mercificazione del Sapere

Sembrerebbe inverosimile, ma le pulsioni destabilizzanti del sistema della pubblica istruzione, inscritte nella sfera psichica di una politica di centro-destra, sono state efficacemente e paradossalmente appagate da un Governo di “sinistra” che, lungi dal costituirne l’antitesi, ne è diventato invece di tale politica il promotore.

La legge 107 sulla Buona Scuola, che di buono non ha nulla, ha completamente scardinato le finalità costituzionali e democratiche sulle quali si basava il nostro sistema d’istruzione, dando così il colpo di grazia a quella che fino a qualche decennio addietro era considerata dalle statistiche europee una scuola di qualità (soprattutto per quanto atteneva il primo ciclo di studi) e vanificando così secoli di storia e di conquiste democratiche per le quali, finalmente, il diritto allo studio diventava un diritto inalienabile, garantito a tutti senza distinzione di appartenenza socio-culturale e promosso in tutte quelle situazioni di svantaggio economico che ne impedivano l’effettivo esercizio.

La scuola nella logica del liberismo renziano, quella “dell’efficienza a tutti i costi”, del riformismo “cotto e mangiato”, è tutt’altra cosa. Essa, da luogo deputato alla promozione culturale e alla crescita civile e democratica delle future generazioni, da agenzia educativa per eccellenza, finalizzata alla salvaguardia di interessi esclusivamente sociali, si trasforma in mera azienda nella quale le risorse umane e professionali, la cultura e la formazione diventano oggetto di calcolata e utilitaristica mercificazione. Così come il diritto allo studio dei nostri ragazzi e la professionalità dei docenti tenderanno via via ad essere subordinati ad un sistema di compravendita, agli interessi dello sponsor di turno, ad un apparato clientelare sempre più radicato soprattutto al Sud, laddove solitamente si tende la mano per elemosinare quei diritti che vengono scambiati per privilegi.

La scuola viene così svenduta a chi offre di più, all’imprenditore più influente che, finanziandone le iniziative e i relativi progetti, si arroga anche il diritto di stabilirne i contenuti e gli obiettivi formativi, attentando al principio costituzionale della libera promozione scientifica e artistica del sapere (art. 33 “L’ arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”) con mirate manipolazioni politiche e ideologiche. Considerato lo scenario da “new economy” nel quale l’educazione e la formazione assumono i connotati di un “prodotto”, ormai non scandalizza più nessuno se, come è capitato in qualche istituzione scolastica del Nord, vengono realizzate in orario curriculare, si badi bene: nell’orario tassativamente destinato a quell’insegnamento disciplinare, legittimamente garantito e gratuito, attività sponsorizzate da questa o quell’ azienda per le quali viene addirittura richiesto un contributo alle famiglie. Ma i paradossi all’italiana non terminano qui.

Dai media che sponsorizzano la Buona Scuola del Miur come fosse l’ultimo modello della Fiat, spacciandola per l’offerta progressista del secolo e corredandola, a parole, di superaccessoriate tecnologie…. allo scempio di istituzioni scolastiche ubicate in strutture fatiscenti e malsane, dove la sicurezza e l’incolumità dei ragazzi sono messe quotidianamente a repentaglio, dove il servizio mensa così come il trasporto pubblico per le uscite didattiche sul territorio non sono più garantiti dai comuni, dove le famiglie e i docenti continuano a fare la colletta per acquistare gesso e carta igienica, dove puntualmente, nonostante la secolare ed indiscriminata “campagna di stabilizzazione”, continua a perpetuarsi l’ineluttabile triste viavai di supplenti. Questa è la Buona Scuola.

Questo è il diritto allo studio offerto su un piatto d’argento. Peccato che il piatto sia vuoto.

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