La buona scuola dello “scamiciato presidente del Consiglio” è già in crisi che non riflette problemi squisitamente pedagogici, e meno ancora problemi meramente amministrativi. Una crisi che riflette, piuttosto, problemi culturali. Anzi, più fondamentalmente ancora, problemi epistemologici, ideologici, sociali.
Il Sole 24 Ore, recensisce un libro dove senza eccesso di tecnicismi si affronta la questione educativa nell’Italia di oggi e dove la «buona scuola» di Matteo Renzi minaccia di rimanere un’operazione di superficie. Poco più che un intervento di restyling, a fronte di problemi che richiederebbero ben altro impegno organizzativo e finanziario. Ma soprattutto ben altro impegno etico-politico.
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Dedicato alla scuola il libro pone anche la domanda: «Le nuove tecnologie fanno bene alla scuola?», e risponde che non fanno bene per nulla. Lo sforzo di attrezzare le scuole italiane con computer, tablet e lavagne digitali sottrae all’erario risorse economiche ed energie manageriali che andrebbero impiegate più utilmente nella formazione degli insegnanti e nel potenziamento della didattica. Senza dire che il ricorso alle nuove tecnologie rischia di accentuare le diseguaglianze sociali. Perché avvantaggia chi già possiede beni intellettuali, mentre penalizza chi non li possiede.
Il libro se riconosce al presidente del Consiglio il merito personale di un’attenzione per la scuola, riconosce alla legge sulla «buona scuola» anche il merito politico di avere voluto aumentare – rafforzando le autonomie scolastiche – la quantità e la qualità dell’offerta formativa, insieme all’intenzione di investire, almeno in prospettiva, sulla formazione degli insegnanti. E il merito di voler ribaltare il vecchio ordine delle cose tra il reclutamento di un insegnante e la sua formazione: facendo della vittoria di un posto a concorso la tappa che precede, anziché seguire, il relativo percorso di professionalizzazione.
E i difetti quali sono? A cominciare da un’«evidente aridità culturale» (incredibilmente prolissa, la legge sulla «buona scuola» rimastica in salsa british parole, formule, concetti, che zavorrano da trent’anni il burocratese ministeriale), per continuare con l’indulgenza verso tre peccati capitali che il libro enumera e definisce così: gli «equivoci dell’autonomia», gli «inganni del mercato», i «malintesi del merito».
Sono gli equivoci dell’autonomia – ad esempio – quelli per cui la nuova didattica sarà ristretta, nell’Italia della «buona scuola», agli insegnamenti opzionali gestiti dai singoli istituti: come se davvero questo potesse bastare per corrispondere alla «transizione cognitiva» in atto nel nostro tempo. Sono inganni del mercato quelli per cui si vuole affidare il futuro della scuola italiana (come già il presente dell’università) a un sistema di ripartizione dei fondi basato sul principio del bonus-malus: sistema che non può funzionare altrimenti che penalizzando il Sud a beneficio del Nord, dunque allargando il divario tra un’Italia concorrenziale e un’Italia non competitiva. Sono malintesi del merito quelli per cui religiosamente ci si inchina al dogma di una valutazione iperformalizzata e indiscriminata, che prescinde dalle coordinate del contesto territoriale e dalla saggezza delle valutazioni informali.
A tutto questo si aggiungono – scrive Il Sole 24 Ore – i peccati di omissione della «buona scuola». Nel senso che la riforma (o comunque Renzi preferisca chiamarla) nulla contiene che aspiri a risolvere i limiti maggiori, strutturali, della scuola italiana. Quelli di cui il libro stila impietosamente l’elenco, e che esamina poi uno per uno: «le diseguaglianze legate allo status familiare, al tipo di scuola e al contesto territoriale, soprattutto nel Mezzogiorno; l’inadeguatezza della didattica rispetto ai caratteri del mondo nuovo; la struttura dei cicli vecchia e ridondante, che costringe i giovani a rimanere a scuola un anno in più, perdendo in molti casi, lungo il percorso fino alle superiori, i buoni risultati raggiunti nelle elementari; le sfide e le opportunità dell’accoglienza dei migranti nella scuola multietnica; la regressione degli apprendimenti negli adulti che colloca l’Italia negli ultimi posti [Ocse]»