Una volta ero convinto che la scuola pubblica italiana fosse un ambiente impermeabile e refrattario alle novità (intese qui in un’accezione deteriore), una categoria sociale restia e diffidente rispetto alle “rivoluzioni di destra” imposte dal capitalismo.
Mi sbagliavo clamorosamente. Dopo aver visto il mondo della scuola assorbire ed accettare supinamente una sequenza micidiale di controriforme, dall’autonomia scolastica alla “buona scuola”, susseguitesi negli ultimi vent’anni, mi sono dovuto ricredere. Temo che la massa dei colleghi sia fin troppo remissiva e “recettiva” (in un senso ironico) rispetto alle ingerenze politiche esercitate dall’alto. Ricordo che la “Buona Sola” non è una “riforma” di Renzi, del PD o del governo in carica, bensì una controriforma calata dall’alto, dal mondo imprenditoriale che punta a fare della scuola pubblica un luogo di addestramento alla selezione di classe all’interno del mercato del lavoro.
Si vuole fare della scuola pubblica un meccanismo propedeutico e funzionale alla logica alienante e cinica del mercato, insinuando quella mentalità aziendalista, competitiva e “meritocratica”, ma in realtà marcia e decrepita, che governa il capitalismo.
Per tali ragioni, la scuola pubblica è nel mirino da anni, sottoposta agli assalti inferti dai poteri economici dominanti. La scuola era un elemento di “conservazione”, intesa in chiave positiva, nell’accezione indicata da Pasolini negli “Scritti Corsari”, in cui spiegava che, di fronte alle “rivoluzioni di destra” avviate dal capitalismo industriale e finanziario, i conservatori sono gli unici rivoluzionari che avversano ogni disegno scellerato di disgregazione e disumanizzazione della società.
Ebbene, in tal senso mi professo anch’io una sorta di “conservatore”, vale e dire un rivoluzionario autentico, ma dubito che lo sia la categoria sociale e professionale a cui appartengo, che accetta passivamente ogni nefandezza.
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