La burocrazia dilagante erode sempre di più lo spazio che a scuola dovrebbe essere riservato all’insegnamento. Ecco un’analisi delle anomalie burocratiche che assediano sia il lavoro del docente che lo studio dei ragazzi.
Il curricolo disciplinare
C’era un tempo in cui tale documento era redatto dal ministero ed era lungo una singola pagina. Oggi le Indicazioni Nazionali constano di sette pagine e ci sono casi in cui il curricolo d’istituto conta ben trenta pagine. L’ipertrofia della programmazione è evidentemente priva di qualsiasi sostanza e utilità, visto che la preparazione media degli studenti di oggi è peggiore di quella degli studenti di 20 anni fa. Tale ipertrofia è causata dal voler descrivere minuziosamente l’ovvio e dal delirio tassonomico imposto dalla classificazione degli apprendimenti contenuta nell’EQF (distinzione tra conoscenze, abilità e competenze). Va osservato che tale classificazione è nata per potersi applicare indistintamente tanto alla formazione di un fabbro quanto a quella di un ricercatore universitario in filosofia teoretica (in linea con la tendenza europea a confondere sempre di più il mondo dell’istruzione con il mondo del lavoro) in un ingenuo e megalomane tentativo di generalizzazione che evidentemente ha costretto a descrivere le caratteristiche degli apprendimenti in modo talmente generico ed astratto da svuotarle di qualsivoglia significato concreto. Se nel vecchio programma ministeriale si scriveva, ad esempio, “frazioni ed operazioni su di esse” (lasciando alla professionalità del docente, alla logica ed al buon senso il compito di sostanziare questa espressione) in un moderno curricolo si troverà un’intera pagina che richiama il profilo generale delle competenze e gli obiettivi specifici di apprendimento ed una minuziosa distinzione tra “definire una frazione”, “saper operare con le frazioni” e “saper servirsi delle frazioni per risolvere problemi in contesti reali”. Non si capisce bene quali siano l’innovazione e l’utilità introdotte da tale bulimia descrittiva. Come se i docenti, prima di tale “rivoluzione”, fossero talmente idioti da non riconoscere, gestire e valutare adeguatamente la differenza tra un alunno che sa solo ripetere a pappagallo che cos’ è una frazione da un alunno che invece sa anche ripartire equamente tre torte fra dodici amici. Questo modo di intendere il curricolo comporta un appesantimento della burocrazia con relativo spreco di tempo e risorse totalmente ingiustificato rispetto ai vantaggi che introduce (cioè nessuno).
La certificazione delle competenze
Anche questo dispositivo è in linea con le richieste dell’Unione Europea ed ha lo scopo di certificare la “capacità dello studente di utilizzare conoscenze e abilità personali e sociali in contesti reali, con riferimento alle discipline/ambiti disciplinari che caratterizzano ciascun asse culturale“, indicando il livello raggiunto (base, intermedio o avanzato) in ciascun asse culturale. Tale richiesta prevede da una parte che non ci sia “automatica corrispondenza” tra i voti ed i livelli, ma dall’altra impone che ci sia “coerenza” con i voti (acrobazia retorica che la dice lunga sulla concretezza della richiesta). Considerato che i voti già tengono conto delle competenze disciplinari, si chiede in pratica di misurare qualcosa di non ben individuabile nel concreto perché attinente alle attitudini personali ed all’indole di un individuo e che quindi non si può misurare come la larghezza di un tavolo. Questo è uno dei tanti esempi della smania quantofrenica che pervade la scuola moderna e che pretende di applicare all’istruzione metodi e concetti nati in ambito industriale per valutare la produzione realizzata da una catena di montaggio. Si pretende di misurare cose come la capacita di saper essere o la capacità di imparare ad imparare, allo stesso modo in cui si misura la tenuta della guarnizione di un frigorifero. Naturalmente, l’intrinseca inconsistenza della richiesta e la conseguente impossibilità di un suo significativo adempimento, si traduce nell’unico modo possibile, e cioè nell’espletamento di una mera procedura burocratica che viene per lo più fatta per via automatica dal registro elettronico, basandosi sui voti delle varie materie. Tale automazione non impedisce, tuttavia, che il processo burocratico presenti il suo conto da pagare, con tanto di punto all’ordine del giorno del Consiglio di Classe, di tempo ed energie da spendere, di scartoffie da produrre.
Le attività PCTO
Sempre nell’ottica di trasformare la scuola nella succursale di un’azienda, la legge sulla “Buona Scuola” ha introdotto ciò che oggi chiamiamo PCTO. Tali attività, nella maggior parte dei casi, sono totalmente inutili perché, oltre ad essere inopportune per questioni di principio (a scuola si va per istruirsi e crescere interiormente, non per addestrarsi) sono spesso improvvisate, mal progettate e mal svolte, e non per colpa dei docenti ma perché, essendo obbligatorie, si devono fare sempre e comunque (e non solo se si presenta una buona occasione). Naturalmente, la burocrazia imperversa anche intorno a queste attività: va designato un docente tutor, si deve redigere l’ UDA, si deve redigere un cronoprogramma, vanno monitorate e relazionate le attività. Così, di documento in documento, le incombenze arrivano dritte fino all’esame di Stato, in occasione del quale tutte le attività svolte vanno ri-documentate all’interno del documento del 15 maggio. Un virus burocratico che si replica a dismisura fagocitando tempo e risorse materiali ma anche, e soprattuto, mentali, per partorire, alla fine, il classico topolino.
I progetti
La scuola moderna viene spesso definita “progettificio”, ed a ragione, vista la pletora di attività extracurricolari che vengono organizzate e che naturalmente erodono i tempi già ristrettissimi dedicati all’attività in classe. Alcuni progetti sono utili e condivisibili ma per il resto servono soprattutto alle scuole per allargare l’offerta formativa ed acquisire più “clientela”, in una assurda logica concorrenziale tra scuole che genera la riprovevole distinzione tra “scuole prestigiose” e “scuole popolari”. E servono anche agli alunni per l’acquisizione degli utili crediti scolastici (vedi paragrafo successivo) da barattare con l’impegno nello studio. Non occorre dire che il progettificio, tra docenti referenti da nominare, contatti da prendere, attività da programmare, circolari da emanare, autorizzazioni, monitoraggi, relazioni e quant’altro, è un’altra formidabile macchina avida di tempo, carta e risorse.
Il sistema dei crediti
Una volta, il voto finale si “acquistava” solo con lo studio e l’impegno, nella scuola di oggi si può invece in parte barattare con un’attività sportiva. Anche tale istituto va nella direzione di svalutare sempre di più il valore della cultura e dell’impegno verso lo studio, in favore di altri aspetti della vita che, pur importanti, non dovrebbero essere messi in concorrenza con lo scopo principale e più identitario della scuola. Va da sé che anche la gestione del sistema dei crediti ha il suo costo burocratico.
Il documento del 15 maggio
Il suo scopo è quello di orientare la commissione per la conduzione del colloquio d’esame, informandola sui contenuti effettivamente svolti dalla classe esaminata. Di fatto è un mattone di 50 pagine (a volte anche più di 100) che contiene, in gran parte, inutili ripetizioni di informazioni inutili e costringe i docenti a terminare il programma con tre settimane di anticipo proprio nell’anno in cui sarebbe ancora più importante dedicarsi ad approfondimenti in vista dell’esame. Con i tempi già strettissimi, tre settimane sono un’enormità. In luogo di tale documento, basterebbe consegnare alla commissione d’esame semplicemente il programma svolto e qualche eventuale altra informazione. Invece no, si deve redigere un documento nuovo, che contiene tutta la cronistoria dell’istituto, dalla posa della prima pietra fino all’ultima riverniciatura dei corridoi. Un lavoro enorme, pressoché inutile, totalmente sproporzionato rispetto all’utilità reale.
E così, resta l’amara sensazione che il fastoso cerimoniale della buro-scuola non sia altro che la messa da requiem per il feretro della Scuola, quella vera.
Enrico Campanelli