Anche in pieno agosto un nuovo capitolo si aggiunge alla storia del “pasto domestico” a Torino.
La Nota Reg. prot.n. 7480/2016 dell’USR Piemonte, nonostante l’accertamento del diritto operato dalla sentenza della Corte d’Appello di Torino del 21 giugno 2016, ha infatti negato eguale riconoscimento a chi chiedeva di poter consumare a scuola il pranzo portato da casa, pur non essendo parte di quel giudizio.
Così, come preannunciato, dinanzi a tale rifiuto, altri genitori sono stati costretti a depositare ricorsi cautelari ed il Tribunale di Torino ha già emesso le prime due ordinanze di sostanziale accoglimento.
Nei primissimi giorni di settembre è attesa la discussione di altri procedimenti.
L’ordinanza del 13 agosto 2016 ha confermato e rafforzato la posizione della Corte d’Appello accertando e dichiarando “il diritto del ricorrente di scegliere per il proprio figlio tra la refezione scolastica e il pasto preparato a casa da consumare presso la scuola nell’orario destinato alla refezione” non avendo individuato alcuna ragione giuridica che possa negarlo o limitarlo.
Il Tribunale di Torino ha riconosciuto sussistenti i presupposti per l’accoglimento della domanda cautelare (fumus boni iuris e periculum in mora) proprio in considerazione della posizione delle amministrazioni convenute che contestano l’esistenza del diritto a consumare a scuola il pasto domestico in capo a soggetti diversi dalle parti del giudizio di appello, conclusosi con la prefata sentenza, richiamata in quanto autorevole precedente.
È altresì indiscutibile l’urgenza del provvedimento prima dell’avvio dell’anno scolastico, non soltanto al fine di assicurare tempestivamente la consumazione del pasto domestico a scuola, ma soprattutto affinché gli istituti scolastici possano organizzarsi per permettere l’esercizio del diritto, confermato dall’ordinanza.
Il Giudice del procedimento cautelare ha condiviso la presentazione del diritto di consumare a scuola, durante l’orario di refezione, il pasto domestico come espressione e manifestazione del diritto allo studio e del principio di uguaglianza.
Invero l’art. 34 Cost. prevede per tutti l’obbligatorietà e gratuità dell’istruzione inferiore per almeno 8 anni, indipendentemente dal reddito. Per l’effetto, “condizionare o limitare il diritto allo studio in base alla fruizione di prestazioni a pagamento viola il dettato costituzionale”.
Tuttavia, sebbene il servizio mensa sia a pagamento e non obbligatorio, se i genitori decidono di non usufruirne sono costretti a prelevare da scuola il figlio all’ora di pranzo, fargli consumare il pasto e poi riaccompagnarlo, così che lo studente finisce per perdere “quel “tempo scolastico” destinato al pranzo comune e alle attività (di socializzazione, distensive e ricreative) che ad esso si accompagnano”.
L’ordinanza del 13 agosto concorda pienamente con l’impostazione della sentenza della Corte d’Appello di Torino, per la quale il contenuto del diritto allo studio non è più limitato al solo impartire e nozioni e cognizioni. Sono richiamati nuovamente il Dlgs 19 febbraio 2004 n. 59 e soprattutto la Circolare Ministeriale del 5 marzo 2004 per la quale i tre segmenti orari del “monte ore obbligatorio”, del “monte ore facoltativo” e dell’“orario riservato all’erogazione del servizio di mensa e di dopo mensa” “rappresentano il tempo complessivo di erogazione del servizio scolastico”. Il c.d. “tempo mensa” costituisce pertanto “un essenziale momento di condivisione, di socializzazione, di emersione e valorizzazione delle personalità individuali, oltre che di confronto degli studenti”.
Perciò il Dlgs 59/2004 prevede che l’organico degli istituti scolastici debba essere determinato anche per garantire “l’assistenza educativa da parte del personale docente nel tempo eventualmente dedicato alla mensa e al dopo mensa” e la Circolare Ministeriale del 5 marzo 2004 ribadisce che “I servizi di mensa, necessari per garantire lo svolgimento delle attività educative e didattiche … vengono erogati utilizzando l’assistenza educativa del personale docente, che si intende riferita anche al tempo riservato al dopo mensa”.
Anche nel tempo mensa viene quindi impartita quella istruzione obbligatoria e gratuita dell’art. 34 Cost. e tale diritto non può essere negato, né condizionato all’adesione a servizi a pagamento.
Conclude perciò sul punto il Tribunale di Torino: “Poiché – per evidenti ragioni che i convenuti non mettono in discussione – l’alternativa di imporre il digiuno agli studenti (che non vogliano fruire della mensa scolastica) è manifestamente irragionevole e impraticabile, l’unica alternativa è quella di riconoscere che gli studenti hanno diritto di consumare a scuola un pasto preparato a casa”.
Questo diritto si fonda anche sul principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini (art. 3 Cost.) poiché “Non è infatti ragionevole che alcuni soggetti (quelli che fruiscono del servizio mensa scolastica) beneficino del diritto all’istruzione nella sua pienezza mentre altri (coloro che non vogliono avvalersi della mensa) siano sostanzialmente costretti ad allontanarsi dalla scuola in un momento in cui viene svolta attività educativa di grande importanza formativa”.
Dunque il pasto domestico va consumato a scuola, né sussistono altri diritti, aventi dignità pari o superiore, che possono escludere o limitare quanto predetto.
Precisa ancora l’ordinanza che se spetta ai singoli istituti individuare i locali nei quali far consumare i pasti portati da casa, implicando tale decisione valutazioni di carattere tecnico e di opportunità, che “potranno essere compiutamente effettuate solo in seguito all’inizio dell’anno scolastico … posto che le stesse presuppongono, già solo per mero buonsenso, che venga preliminarmente definito il numero degli allievi che decidano di formulare istanza in tal senso”, tali modalità “non possono essere tali da snaturare o annullare di fatto i contenuti del diritto fondamentale alla istruzione, che costituisce il presupposto e la ragion d’essere del diritto (al pasto domestico) che qui si riconosce. … Una organizzazione che non consentisse la fruizione del diritto allo studio in questi termini si risolverebbe quindi nella negazione del diritto che è stato qui accertato”.
Se ne desume che relegare in locali diversi dagli altri gli alunni che non usufruiscono del servizio di refezione non consente loro l’esercizio delle attività di socializzazione, educazione alla convivenza e relazionali connesse al tempo mensa.
Peraltro si rileva che, contraddittoriamente, se da un lato in maniera condivisibile le amministrazioni affermano che, per adottare le misure organizzative necessarie, hanno necessità di conoscere preventivamente il numero di famiglie che intendono avvalersi del diritto sopra descritto, tale valutazione di fatto è esclusa proprio dal rifiuto di ammettere tale facoltà di scelta. Negando la sussistenza del diritto le amministrazioni non si mettono nella condizione di poter concretamente organizzare il servizio.
Non è ritenuto “diritto confliggente” il presunto nesso fra tali scelte discrezionali e le previsioni contenute nei contratti di appalto con le ditte private che erogano i servizi di mensa e nei contratti di assicurazione stipulati da queste giacché tali clausole non “hanno il valore di fonti normative” e per l’effetto non possono “interferire con il diritto, di rilevanza costituzionale, che si è sopra accertato”. Insomma le problematiche relative alla ristorazione prescindono dalla questione in esame.
Neanche del resto si è rinvenuta la fonte normativa del presunto “generale divieto di introdurre alimenti esterni (ossia non riconducibili alle ditte concessionarie del servizio) nella mensa, durante l’orario dei pasti”.
Invero occorre evidenziare che né la Nota USR Piemonte 15 luglio 2016, Prot.n.7840 né il richiamato estratto del parere dell’Avvocatura hanno espressamente vietato di consentire il pasto domestico scuola ma hanno solo negato che chi non era parte del procedimento d’appello potesse avvalersi della sentenza per farne richiesta. Anche le Linee Guida per l’educazione alimentare del 2011 ed il parere dell’ASL del lontano 2001, allegati alla Nota, sono richiamati non a sostegno di un non documentato divieto ma solo quale contributo per la loro valenza nella “esecuzione della pronuncia giudiziale da parte dei singoli istituti interessati”.
Sorprende però che, nonostante l’assenza di divieto e la richiamata autonomia organizzativa delle scuole, non sembra rinvenirsene alcuna disponibile ad assecondare le richieste delle famiglie nonostante le Linee Guida (anche del 2015) invitino più volte alla collaborazione, a “stabilire alleanze positive” con esse, al loro “coinvolgimento…anche alla luce del patto di corresponsabilità educativa” (pagg. 16, 18, 19, 23).
L’auspicio perciò resta quello dell’apertura di un dialogo e di un costruttivo confronto.
Senza entrare nel merito anche delle conseguenze sfavorevoli per l’Amministrazione collegate alla condanna alle spese, continuare a limitare l’esercizio del diritto solo a coloro che avviino, assumendosene i relativi costi, un procedimento giudiziario, limita certo di fatto il numero di chi il prossimo anno non si avvarrà del servizio, ma compromette anche quel rapporto di fiducia con l’istituzione scolastica e nonché il principio di corresponsabilità educativa.
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