I dirigenti scolastici non possono sospendere i docenti, è questo il principio sancito dalla Cassazione con sentenza n. 20059/21 del 14 luglio 2021 che ha respinto il ricorso del MIUR, confermando l’orientamento assunto dalla giurisprudenza di merito: i dirigenti non hanno alcun titolo a sospendere i docenti, possono soltanto irrogare sanzioni che non vadano oltre l’avvertimento scritto e la censura. Già nel 2020 l’Associazione Nazionale Presidi, prendendo atto delle sentenze di Cassazione, scriveva: “con le ordinanze 28111/2019 del 31.10.2019 e 30226/2019 del 20.11.2019 la Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, ha sostanzialmente confermato quell’orientamento giurisprudenziale secondo la quale i dirigenti scolastici non possono applicare al personale docente ed educativo la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dallo stipendio sino a dieci giorni ma devono limitarsi alle sole sanzioni dell’avvertimento scritto e della censura“. E da allora l’Amministrazione Scolastica ha iniziato a procedere conformandosi alle sentenze della Corte di Cassazione.
La vertenza giudiziaria è partita dalla sospensione di 10 giorni irrogata da un dirigente scolastico di Terni al referente provinciale dei COBAS Scuola Franco Coppoli.La sospensione è stata annullata per incompetenza, prima dal Tribunale di Terni, poi dalla Corte di Appello di Perugia e ora, definitivamente, dalla Corte di Cassazione che ha respinto il ricorso del MIUR, condannato anche al pagamento delle spese legali. Nel concreto la sentenza annulla una sanzione disciplinare comminata per motivi “politico-sindacali” e corregge, quindi, un arbitrio di chi esercita il potere, anche a prescindere dalle norme. In tal modo la sentenza toglie ai dirigenti scolastici l’arma ricattatoria dell’uso intimidatorio dei procedimenti disciplinari al fine di intimidire o tacitare quei docenti che rappresentano e praticano una scuola come comunità educante orizzontale e democratica, e contrastano il modello scolastico neoliberista basato sulle vuote competenze, sui quiz INVALSI e sulla gerarchia e sull’obbedienza dei docenti al preside. Un modello che si è cercato di imporre anche con il bastone disciplinare e la carota dei bonus premiali.
Ma questa sentenza non basta: occorre riformare le norme sui procedimenti così come sono stati concepiti a partire dalle riforme di Brunetta, per cui chi accusa, conduce il processo ed irroga la sanzione. Occorre ripristinare il principio di terzietà anche fuori dalle aule di tribunali. E in questo senso i Cobas continueranno a battersi.
Questa lotta dei Cobas si inserisce nella lotta per una scuola democratica, fondata su un modello dialogico e inclusivo, opposto sia al modello aziendalistico fondato sulla gerarchia e sull’obbedienza, sulla didattica per competenze, sull’addestramento per le imprese della futura manodopera, sia al modello tecnocratico, quale si mostra nel tentativo del ministro Bianchi di utilizzare politicamente la crisi sanitaria per imporre riforme che cercano di rendere strutturale la didattica digitale integrata: una scuola che ha generato uno stress insopportabile sia per gli studenti sia per chi ci lavora. Secondo i COBAS, invece, occorre riformare la scuola valorizzando la relazione educativa, diminuire il numero degli alunni per classe, aumentare il tempo scuola, eliminare il precariato, investire sulle assunzioni di docenti e ATA, e sulla ristrutturazione e la messa in sicurezza dei locali scolastici.
Esecutivo nazionale Cobas – Comitati di Base della Scuola
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