Chi ricorda le «Pillole del sapere», i video informativi fatti realizzare per le scuole (della durata di 4 minuti) e pagati 39 mila euro ciascuna (costo totale 769 mila e 599 euro) dal ministero dell’Istruzione nel 2012 e finite sotto inchiesta?
Anche questa storia ha avuto un epilogo. Se il giudice penale ha prosciolto con il non luogo a procedere, i tre funzionari statali accusati sono stati invece condannati dalla Corte dei conti a risarcire complessivamente 135 mila euro di danni erariali.
Il motivo, secondo i giudici contabili, sta proprio nella lettura della sentenza penale che “fa emergere manifesti profili di mala gestio da parte di tutti i convenuti, evidenziando, nel contempo, che il proscioglimento in sede penale degli stessi deriva da gravi carenze nell’attività di indagine da parte del P.M. penale; generica contestazione degli addebiti e mancanza di prova del dolo specifico”.
I tre condannati sono Giovanni Biondi, capo dipartimento della Programmazione del Ministero (risarcimento di 35 mila euro), Antonio Giunta La Spada, direttore dell’Agenzia Nazionale per l’Autonomia Scolastica (90 mila euro) e Massimo Zennaro, direttore generale per lo studente del Miur (10 mila euro).
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A far emergere la triste storia delle “Pillole”, ricorda Il Tempo, era stata l’inchiesta della trasmissione televisiva “Report” nel 2012: «Lo spirito che permea questi prodotti non è didattico, cioè non offre gli strumenti, i concetti, le idee, i percorsi logici che permettano agli studenti di appropriarsi di un argomento. Il 50% degli argomenti trattati sembrano più pubblicità progresso che materiale didattico».
Anche per la Procura contabile «tali prodotti, consistenti in filmati caratterizzati dalla superficialità e dalla ridotta attitudine didattica, sono stati fra l’altro acquisiti dall’Amministrazione a fronte di un prezzo esorbitante rispetto al reale (ridotto) valore commerciale (quantificato da consulenza tecnica in atti in circa € 500.000)».
Per i giudici contabili «l’obiettivo dei partecipanti all’illegittimo sodalizio era di giungere a negoziati esclusivi e diretti, al di fuori di qualsiasi logica concorrenziale e di mercato, con la società Interattiva Media». Anche perché «nessuno dei componenti si è mai in alcun modo curato di verificare i costi di produzione e di vendita di prodotti analoghi da parte di altre imprese operanti nel settore; men che meno si è mai ipotizzata una ricerca di mercato orientata: la scelta del prodotto (riconosciuto come palesemente scadente anche dal Giudice penale, nell’ambito delle proprie competenze) era stata già fatta, a monte». Ed anche «la divisione della spesa in ventuno distinti contratti è stata un frazionamento, in violazione del Codice dei contratti pubblici».
«Non è neppure chiaro se tutti i prodotti, benché rapidamente pagati, siano stati tutti consegnati», conclude la Corte dei conti.
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