Tra i criteri stabiliti dal Ministero manca l’anzianità di servizio. Ovviamente è ben strano che l’esperienza maturata in decenni d’attività didattica non valga, a parere del Ministero, niente di niente. A me pare che le vere intenzioni del Governo siano ben altre che quelle di mettere i dirigenti nella condizione di scegliere docenti con competenze capaci di valorizzare l’istituto.
Molte funzioni aggiuntive sono pagate talmente poco che i D.S. fanno sempre fatica ad assegnarle (tutor neo-immessi, tutor ASL, ecc.). Inserirle tra i criteri di accesso agli istituti costringerà molti insegnanti a farsene carico, anche se sottopagati. Inoltre la scelta proprio di quei criteri tradisce l’intenzione del Governo di procurarsi aggiornamento in massa da parte dei docenti senza impegnare un centesimo. L’aggiornamento, oltre che un dovere e anche un dirittocheva esercitato in orario di servizio e remunerato. Se per potere accedere all’insegnamento, o per spostarsi da un istituto all’altro, è imperativo possedere proprio le competenze relative ai criteri già definiti dal Ministero, ne consegue che da qui in poi tutti i docenti, indistintamente, faranno la gara per accedere a corsi di aggiornamenti non in orario di servizio, ossia non pagati, pur di procurarsi il “lasciapassare per la mobilità”.
La chiamata diretta, congiuntamente alla distribuzione del bonus per merito e, soprattutto, al potere dirigenziale di conferma o meno dopo tre anni di servizio dall’entrata in istituto, sono l’essenza della Riforma e la qualificano come reazionaria e liberticida. Se l’accesso in un istituto, la partecipazione alla distribuzione del bonus e la possibilità di permanervi oltre il triennio iniziale dipendono dal giudizio insindacabile del D.S. è ovvio che il docente non potrà più operare in scienza e coscienza ma dovrà farlo soprattutto “secondo dirigenza”. La libertà d’insegnamento è stata praticamente abolita e, con essa, la libertà d’apprendimento dei discenti.
La scelta dei sei criteri da parte del collegio è solo una foglia di fico, fumo negli occhi: il potere arbitrario e discrezionale del D.S. rimane intatto. Nel caso del bonus la foglia di fico è palese: il comitato fissa i criteri, la normativa sulla privacy vieta la diffusione dell’esito dell’operato dirigenziale, quindi chi può valutare la congruenza delle scelte del D.S. con i criteri stabiliti dal comitato? Nessuno. Per la chiamata diretta si possono fare le stesse osservazioni. Quindi siamo di fronte allo sberleffo, al dileggio dell’intelligenza dei docenti.Votare i criteri sulla chiamata diretta significa implicitamente rendersi corresponsabili dell’implementazione di un dispositivo liberticida e contribuire alla modifica, già in atto, della natura del rapporto dirigente-insegnante: dal piano dei diritti, della trasparenza e del rispetto reciproco a quello della sudditanza, della viscida fedeltà personale interessata.
In moltissimi istituti, compreso il mio, i docenti si sono rifiutati di votare i criteri per la chiamata diretta. Il Governo, così come i sindacalisti che hanno firmato la schifezza dell’ipotesi d’accordo di aprile, non hanno nessuna possibilità di recuperare il consenso perso tra gli insegnanti. Se i sindacalisti oseranno anche sottoscrivere il rinnovo del contratto senza recupero del potere d’acquisto perso in anni di blocco e accetteranno la miseria dei cinquanta euro, per di più legati al “merito”, si scaveranno definitivamente la fossa, e forse è un bene che vada così.
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