Una delle caratteristiche della società italiana è che siamo in una permanente campagna elettorale. Del resto, per un motivo o l’altro, si vota di continuo.
Per cui è difficile, direi impossibile, per chi governa, chiunque sia al governo, impostare una politica sapendo dell’arco dei cinque anni di governabilità, tempo congruo per dimostrare, o meno, la sua capacità e la sua affidabilità. Per questo motivo, in politica come nella vita, la stabilità è un valore, anche non l’unico.
Ovviamente, chi è all’opposizione cerca, invece, di promettere e promettere, un po’ a tutti, pur di raggranellare consenso. Del resto, promettere non costa niente. A prima vista. ama, prima o poi, la prova della realtà non fa sconti a nessuno.
Ora, visti i sondaggi, con l’Italicum modificato o meno, si dá oggi quasi per scontata la vittoria dei 5 Stelle. Così sono gia partite le analisi su quale potrà essere, o sarà, la sua politica scolastica.
Noi, uomini di scuola, abituati ai vari governi e ministri pro tempore, allenati ad un ruolo super partes perché rappresentanti delle istituzioni, le quali sono la “casa di tutti”, abbiamo imparato a distinguere, in ogni nuova riforma o legge, le cose buone e quelle da criticare, senza format preordinati, ma senza, questo il tratto comune, lasciarci abbindolare. Forse gli anni non sono pochi, di certo una certa carica smaliziata ci aiuta ad affrontare le quotidiane difficoltà.
Dicevo, ora tutti sono alla rincorsa per sapere cosa cambierà se vinceranno i 5 Stelle.
Lucio Ficara, sulla Tecnica, ha fatto bene ad interpellare l’on.Chimienti, che conosciamo per i suoi continui interventi di critica della Buona Scuola, e delle sue proposte alternative.
Ma c’è un passaggio, in particolare, nell’intervista rilasciata a Ficara, che credo meriti la nostra attenzione. Non parlo della questione dei 36 mesi, resa vincolante dalla nota sentenza europea, che è all’origine della grande sanatoria che sta mettendo in difficoltà le nostre scuole, perché avvenuta senza filtro qualitativo. Cosa che sappiamo tutti.
Parlo di un altro aspetto, quello che, secondo non solo il mio parere, è il più interessante e positivo della Buona Scuola. Cito dalla risposta della parlamentare, la quale, un po’ troppo sicura di sè, afferma sarà la priorità: “abolizione della chiamata diretta e degli ambiti territoriali e contestuale ripristino della titolarità su cattedra e del sistema, più trasparente e meritocratico, delle graduatorie”.
Dunque, in sintesi, rispetto a quello che avviene in tutto il mondo del lavoro, la “chiamata diretta” sarebbe non-trasparente e non-meritocratica, mentre il vecchio automatismo delle graduatorie invece sì, cioè trasparente e meritocratico. Concedo la trasparenza, perché si tratta di atti pubblici, ma meritocratica direi proprio di no, come sanno tutti nel mondo della scuola. Anche se pochi, per comodità, lo dicono. Facile sarebbe dimostrarlo. Chi ha ruoli di sistema (preside, collaboratori, capi dipartimento, coordinatori consigli di classe, rappresentante studenti e genitori) non potrebbe non confermare.
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A meno che… A meno che non si ritenga che il cuore della scuola sia l’occupazione del personale, non la qualità del servizio degli studenti, cioè non una qualche cultura dei risultati, e non solo delle intenzioni. Perché non iniziare ad introdurre, per i ragazzi maggiorenni delle superiori e per tutti i genitori, forme di customer? A scuola, come nella vita, sappiamo che vale il criterio della reputazione, sintesi di conoscenze ed opinioni. Vale per noi, nelle nostre scelte quotidiane, ma vale anche per gli studenti ed i genitori a scuola, come per i docenti sui presidi ed i docenti sui docenti. Lo vedo quando faccio le cattedre, date le richieste dei docenti su quali insegnanti per i propri figli.
Sará dunque cancellata la chiamata diretta? Do per tempo la mia previsione, in caso di vittoria dei pentastellati: non sarà cancellata. Accetto scommesse.
Perché dico questo? Perché dice modi di essere della realtà effettuale, ed il principio di realtà non dá scampo. Si tratta di verità scomode, ma di verità: perchè il matematismo delle graduatorie non garantisce la qualità delle professionalità, perchè una cosa è sapere una materia, altra saperla insegnare. In poche parole, perché nega l’etica della responsabilità che tutti, giustamente, pretendiamo, ma che, per comodità o altro, a volte neghiamo, quando ci tocca da vicino. Allora è meglio nascondersi dietro le maschere.
Mentre quell’etica della responsabilità, che tutti chiediamo a gran voce, date le magagne ai vari livelli che ci scandalizzano, ci dice che i concorsi così costruiti non hanno più senso, e che dovremmo fare come a Trento, con concorsi gestiti in modo diretto, locale, dunque controllabile.
I due macigni, sui quali è il coraggio della verità che manca, che sono all’origine delle magagne della scuola, sono il centralismo ministeriale e la mancanza di un sistema ispettivo che sia garanzia della professionalità di chi, la grande maggioranza, fa il suo lavoro con dedizione e competenza. Con la certezza del diritto, e quindi della pena.
La vera grande riforma? L’abolizione del ruolo gestionale del nostro ministero della pubblica istruzione, il quale deve dare gli standard e le indicazioni nazionali, lasciando flessibilità e autonomia gestionale agli enti locali. Questi si rivelano incapaci, a seguito di indagini ispettive? Basta commissariarli. Come già succede nei nostri comuni, quando si dimette o viene dimesso un sindaco. Ridimensionando i ruoli del TAR e del Consiglio di Stato, come già si è espresso Romano Prodi, freno burocratico che tra le cause dell’immobilismo del nostro sistema Paese.
Noi, uomini di scuola, allenati alla riflessione culturale, non a quella ideologica, dobbiamo credere, dunque, nella partecipazione democratica dal basso, senza deleghe in bianco, come invece è oggi, ma in un quadro di libera autonomia territoriale. Perché ciò che conta è che solo chi vive in trincea, cioè nel vissuto della nostra società, sa cosa serve per garantire un “servizio pubblico” adeguato, di qualità, ed è in grado di selezionare i migliori professionisti capaci, nel concreto, a garantire i risultati attesi da quel “servizio pubbblico”. Tutto il resto è ideologia. Accetto, dunque, da subito le scommesse.
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