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La Cina investe sui futuri prof: niente tasse all’Università

Fa decisamente scalpore la notizia che in Cina l’Assemblea Nazionale renderà interamente gratuita la formazione universitaria degli insegnanti: mentre in Italia i futuri professori sono costretti a pagare rette da capogiro, almeno per le possibilità economiche di uno studente o un lavoratore precario, la Cina va in controtendenza decidendo di non far pagare le tasse almeno ad una parte degli aspiranti prof. 
E la notizia, dicevamo, fa scalpore: non bisogna, infatti, dimenticare che pur vivendo da alcuni anni una fase di importante sviluppo economico e lavorativo, la Cina rimane sempre un Paese del terzo mondo con a capo un regime tutt’altro che moderno-democratico.
“Ricorda un po’ le campagne dell’epoca maoista – ha commentato nei giorni scorsi la Flc-Cgil – la scelta approvata dall’Assemblea Nazionale Cinese di rendere interamente gratuita la formazione universitaria degli insegnanti. E per di più va in senso totalmente opposto alla piega privatistica che anche l’istruzione cinese tende assumere”. 
Fatto sta che il sistema educativo cinese nei prossimi cinque anni investirà nella cultura della propria cittadinanza, la quale oltre ad essere numericamente la prima al mondo – con oltre 1 miliardo e 300 milioni di unità – si contraddistingue perché una buona fetta rimane sempre di contadini analfabeti ed emarginati da qualsiasi forma di civiltà: per combattere questo stato di profonda arretratezza culturale, tipica di moltissime dittature, i responsabili della cultura e dell’istruzione cinese hanno deciso un incremento della spesa per l’istruzione dal 2,86% al 3% del Prodotto Interno Lordo. 
Un incremento che sembra poco importante, ma che invece ha l’idea di essere un segnale per tutti: da sempre, l’elevazione culturale del popolo non può tuttavia realizzarsi senza la formazione di ottimi insegnanti che, in modo, vengono incentivati a studiare e a candidarsi per una carriera dietro la cattedra. 
La scelta, peraltro, tiene conto anche del fatto che gli stessi insegnanti cinesi notoriamente non si contraddistinguono per la loro alta preparazione. “L’idea è che l’investimento senza buoni insegnanti non servirà a nulla: ecco allora – commenta il sindacato guidato da Enrico Panini – la decisione di rendere gratuiti i percorsi universitari rivolti all’insegnamento”.

Per il momento l’iniziativa troverà applicazione solo alle sei università direttamente dipendenti dal Ministero cinese dell’educazione. In futuro, però, si pensa di allargare l’interesse per l’insegnamento in altre sedi accademiche. 
L’obiettivo, secondo il giornale Bejing News, è “di creare una situazione ambientale di favore e di rispetto per l’educazione, dal momento che le autorità sono convinte che il livello dell’insegnamento cinese sia molto più basso che in altri Paesi asiatici e che questo sia una ‘palla al piede’ sia per il sistema educativo che per quello economico”.

Alessandro Giuliani

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