Pubblichiamo una riflessione del preside Maurizio Parodi, il fondatore del movimento Basta Compiti, che con ironia e sarcasmo parla della scuola italiana.
Il problema della scuola sono gli studenti. Senza gli studenti la scuola funzionerebbe benissimo. Sono loro che inceppano gli ingranaggi del sistema.
Arrivano a scuola senza sapere niente ed escono dalla scuola senza sapere niente; quelli che hanno letto la celeberrima frase su twitter, sapendo di non sapere, gli altri senza neppure sapere di non sapere (Chissà chi lo sa…).
Non sanno niente e non imparano niente (di utile e men che mai dilettevole).
Non sanno leggere, scrivere, far di conto neppure i diplomati nonostante siano stati a scuola per almeno 13 anni, tanta parte della loro vita, il periodo che dovrebbe essere più bello, ricco, gioioso, trascorso nelle aule anguste, spoglie, disadorne o sordide, sovraffollate, anonime di edifici più o meno squallidi, fatiscenti, in tutto simili a caserme.
Insomma il luogo ideale per deprimere qualsiasi pulsione vitale… eppure continuano a iscriverli, continuano a frequentare.
Vero che riusciamo a perderne tanti (l’Italia eccelle quanto a dispersione) si dice: “perché abbandonano la scuola”, quando è invece chiaro che ne sono “respinti”, ma sono sempre troppi.
Cos’altro si deve fare per dissuaderli? Perché vengono a scuola? A che fare?
Ad ascoltare lezioni interminabili, soporifere, ammorbanti: docenti che parlano, parlano, parlano di cose più o meno comprensibili, sensate, cercando di resistere alla noia, al sonno, alla voglia di scappare…
A studiare, cioè a imparare a memoria altre parole che dovranno essere recitate o scritte di fronte al plotone dei docenti (pena la “mortalità scolastica”) – agli studenti più dotati dovrebbe essere assegnata la medaglia alla memoria. Uno sforzo puramente mnemonico, inutile: le nozioni ingurgitate attraverso lo studio domestico per essere rigettate, a comando (interrogazioni, verifiche…), hanno durata brevissima; non “insegnano”, non lasciano il “segno”, attivano solo la memoria a breve termine (dopo pochi mesi restano solo labili tracce della faticosa applicazione); insomma si tratta di un sapere usa e getta.
Ad aspettare che il tempo passi, il più in fretta possibile per poterne uscire, scontata la “condanna” – quando non si riesca a “evadere l’obbligo scolastico” (sintomatico l’uso del verbo: “evadere”…) : ora dopo ora, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, nell’illusoria attesa di vacanze agognate e negate, di fatto, per l’accanimento morboso (in Italia si rasenta la crudeltà mentale) di insegnanti che tentano di avvilire qualsiasi propensione alla “ricerca” (e quasi sempre ci riescono) infliggendo finanche i “compiti per vacanze”, appunto. Un ossimoro logico, un paradosso pedagogico: i soli a profittare delle vacanze degli studenti sono i docenti, cioè coloro che ne impediscono il godimento agli studenti, violando un loro diritto.
Quale altro deterrente si dovrà mai usare?
Non basta la forzata immobilità cui sono costretti corpi naturalmente bisognosi di moto rigenerante, senza neppure l’ora d’aria cui tradizionalmente hanno diritto i detenuti nelle carceri – lo scopo della scuola è insegnare a stare seduti: ci si deve muovere a comando.
A scuola si va solo con la testa, peraltro malfatta: le mani, il cuore, la pancia non sono ammessi, devono rimanere fuori dall’aula, bisogni fisiologici a parte che si vorrebbero addirittura soddisfare a proprio piacimento. Invece no: alla prima ora non si può andare in bagno perché si è appena arrivati: “non avete il gabinetto a casa?”; la seconda ora non si può perché dopo c’è l’intervallo; la terza ora non si può perché c’è appena stato l’intervallo; la quarta ora non si può perché si sta per uscire: “ce l’avrete pure un cesso di gabinetto… Allora statevene a casa!”.
Oppure vadano solo quelli che già sanno, quelli che hanno famiglie economicamente e culturalmente attrezzate , cioè quelli che della scuola non hanno bisogno, i soli a trarne profitto.
La scuola italiana non funziona più nemmeno come ascensore sociale, è diventata un moltiplicatore di diseguaglianze aggravando il carattere censitario di un’istituzione che si vorrebbe capace di accogliere, integrare, compensare, promuovere, emancipare…
Cos’altro ci si deve inventare per dissuadere gli inadatti (che notoriamente provengono da ambienti degradati, deprivati) visto che tutti, indiscriminatamente, si ostinano ad affollare le aule scolastiche dando luogo al deplorevole fenomeno delle classi pollaio?
Per risollevarne le sorti della scuola non rimane che respingere da subito i predestinati al fallimento, anziché tentare, inutilmente, di istruirli, sottraendo tempo prezioso ai più bravi e meritevoli (che “naturalmente” prosperano nelle famiglie benestanti o agiate).
In tal modo si potrebbero risparmiare (evitandone lo dissipazione) le preziose energie degli insegnanti che grazie al recente aumento delle retribuzioni ci costano anche di più e quindi devono essere impiegati con parsimonia, evitando gli sprechi – ché è un sano principio ecologico.
Abrogando l’obbligo d’istruzione si potrà finalmente restituire la scuola a chi vuole davvero imparare. Se, come auspichiamo, si tratterà di poche decine di migliaia di persone, otterremo risparmi miracolosi della spesa pubblica, coniugando efficienza e meritocrazia. La democrazia è roba vecchia e costosa, se proprio vogliamo conservarla, lasciamola a chi se la può permettere.
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