Ieri ho letto un articolo sul Corriere della Sera online che mi ha colpito:
Qui si titola: “Milano, esuberi nei licei scientifici: Costretti a iscriverci alle paritarie”.
Dopo una prima reazione emotiva di stizza, ci ho pensato a lungo e ho capito alcune cose importanti che, a mio avviso, meritano di essere ascoltate. Le scrivo con ordine a mo’ di punti di una logica argomentazione.
Primo: oggi la scuola statale non si propone più alle famiglie come cinquant’anni fa, perché un tempo c’era “una” scuola di Stato, punto e basta, con criterio di scelta di tipo preminentemente territoriale. Oggi i Dirigenti Scolastici delle scuole statali sono dei manager e cercano di rendere diversa/appetibile l’offerta formativa della propria scuola, per accaparrarsi studenti e famiglie. Dunque non c’è più “una” scuola di Stato, ma “diverse scuole” di Stato in competizione tra loro, che si “soffiano” studenti a vicenda.
Secondo: in questo contesto, così come cambia la realtà della scuola statale, cambia anche la percezione della scuola di Stato da parte delle famiglie. In tale mutamento infatti vi è anche un cambiamento delle esigenze delle famiglie: esse oggi cercano la scuola “migliore” perché i propri figli siano più competitivi in una società competitiva. Qui entra una prima volta il tema delle scuole paritarie. Le paritarie, non solo oggi, ma da sempre nello Stato italiano hanno vissuto in un regime di competizione, per via della retta da pagare per iscriversi: nessuna famiglia è disposta a pagare un servizio che non sia all’altezza del costo che si deve corrispondere.
Dunque, oggi anche le scuole di Stato si trovano in una realtà di competizione, senza però che tale competizione sia dichiarata e disciplinata dalla legge, ed in particolare senza che le “regole della selezione” siano dichiarate. Il che diventa chiaramente un problema, e svela una prima ingiustizia de facto: oggi si differenzia, su base competitiva, un servizio che sulla carta è “gratuito” ed è “per tutti”.
Ciò significa mettere alcuni in posizione di vantaggio, ma questo vantaggio non è “democratico” perché di fatto si crea una selezione senza criteri. Su cosa si seleziona chi resterà nel numero “chiuso” di posti accessibili in alcune scuole statali percepite dalle famiglie come scuole di eccellenza? La necessità di creare una apposita cabina di regia in Provveditorato per risolvere questo problema – come viene detto nell’articolo di Corsera – smaschera oggi quello che ieri c’era, ma era occulto: la scuola di Stato non è gratuita, perché ha dei costi di gestione, come ogni scuola. Il costo della scuola statale costruisce anch’esso una “retta”, pagata dal cittadino attraverso le tasse. Tuttavia le tasse, per loro natura “generali” e pagate da tutti i cittadini in maniera uguale o in proporzione al reddito, non portano in se stesse un criterio di preferenza per la scelta di una scuola “di elezione”…
E così, in assenza di disciplina giuridica, si crea un “criterio di fatto” che è un criterio a mio avviso patentemente ingiusto: vince chi arriva primo, o… chi è avvantaggiato in altri modi per nulla “ufficiali”, e dunque ancora meno democratici.
Terzo: come rientra in gioco il discorso sulle scuole paritarie, a questo punto? Questo discorso diventa determinante quando finalmente ci si accorge che anche nello Stato i posti nelle scuole non sono “infiniti”, ma limitati.
Come si legge sul Corriere, dopo 10 sezioni al liceo Einstein non c’è più il posto fisico per altri studenti, e così analogamente in tutte nelle scuole più gettonate che vanno in “overbooking”.
E qui, scrive il Corriere, le famiglie sono “costrette” a scegliere le paritarie. Questo verbo – “costrette” – rivela una verità importante: le paritarie competono con le scuole statali. Altrimenti avrebbe detto: “sono costrette a scegliere altre scuole statali meno gettonate”.
Il che mostra due cose: la prima, che l’offerta formativa delle paritarie è ottima e competitiva, e la seconda è che esse – questa volta veramente – sono “costrette” a vivere il regime di competizione con uno svantaggio obiettivo: la retta. C’è dunque una ingiustizia patente, perché per andare in una scuola paritaria la famiglia, sappiamo, deve pagare due volte: le tasse allo Stato e la retta alla scuola “privata”.
E dunque la scuola paritaria (che paritaria a questo punto non è, come si evince chiaramente) parte con l’handicap, nella corsa al conquistare gli studenti migliori. Inoltre, emerge una seconda ingiustizia, profondamente radicata nell’attuale sistema di istruzione “pubblico statale-paritario”.
Proprio l’uso del verbo “famiglie costrette a scegliere le paritarie” mostra che l’esistenza di paritarie buone ma scelte in seconda istanza per via di una “costrizione” dovuta alla mancanza di posti in scuole statali buone, se da un lato “costringe” le famiglie ad una spesa in più dentro un sistema che sulla carta dovrebbe essere misto e “paritario” (prima ingiustizia), dall’altro allevia lo Stato del costo per studente moltiplicato per quei 100 studenti, se immessi in in una succursale della scuola statale che non ha posto per loro, o anche in un’altra qualsiasi scuola stale meno qualificata della prima e anche della paritaria: seconda ingiustizia.
In conclusione: si deve accettare che oggi c’è concorrenza tra scuole statali, e tra paritarie e statali. Ciò è cosa buona, perché aumenta la corsa alla qualità dell’insegnamento e differenzia l’offerta formativa creando un “ranking”, una meritocrazia, tra scuole in regime di competizione.
Questa concorrenza però è tre volte sleale a svantaggio delle paritarie, mostrando finalmente una triplice ingiustizia nell’applicazione della Costituzione, che obbliga chi sceglie una scuola paritaria a pagare le tasse per la scuola statale più la retta per una offerta formativa “paritaria”. La prima ingiustizia sta nel fatto che sono a questo punto le paritarie ad essere “costrette” a dover superare lo scoglio economico della retta per avere studenti provenienti da famiglie che cercano scuole di eccellenza.
La seconda è che lo Stato “risparmia” 7.000 euro all’anno per ogni studente “costretto” ad andare alle paritarie (!). La terza è che abbiamo un regime di “selezione” delle scuole sulla base di un ranking non dichiarato e con criteri di scelta “occulti”: chi sono quei 100 esclusi, e perché proprio loro? hanno fatto un concorso? Sono fuori da una qualche forma di graduatoria?
Invito tutti gli operatori del mondo scuola ad una seria riflessione e a un dibattito su questi punti.
Padre Eraldo Cacchione
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