La Comunità di Sant’Egidio riesce a mandare i rom a scuola
Far frequentare la scuola con regolarità e profitto ai bambini rom della ex Jugoslavia è un’impresa spesso titanica. Quasi impossibile. E chi ci riesce va sempre guardato con interesse. Quello che merita senza dubbi la comunità romana di Sant’Egidio che ha convinto le famiglie dei giovani rom, quasi sempre le vere artefici del distacco scolastico dei loro figli, facendole avere una sorta di borsa di studio da 100 euro al mese proprio in cambio della buona condotta dei loro ragazzi. A finanziare l’iniziativa, costata sinora 134 mila euro, è stato il ministero del Welfare con i fondi destinati all’integrazione.
Ai genitori che partecipano al progetto, iniziato a settembre, è stato espressamente chiesto di non far superare ai loro figli le tre assenze ingiustificate al mese, partecipare alle attività extrascolastiche, incluse le gite. E di evitare a tutti i costi l’accattonaggio, una modalità di “lavoro” tipica dei rom. La formula adottata dalla comunità sembra proprio che stia funzionando: sono 30 i bambini di famiglie originarie della ex Jugoslavia che si sono inizialmente “piegati” alle regole del vivere civile. Qualcuno, era inevitabile, si è perso lungo la strada tornando a vivere in base alle modalità che gli sono state insegnante da famiglie e contesti in cui sono cresciuti. Il progetto, partito dal campo di via dei Gordiani, nella periferia a sud-ovest della capitale, e da un centro di accoglienza della Comunità, si è via via esteso ad altri insediamenti, arrivando a coinvolgere positivamente altri 12 bimbi rom. E la maggior parte hanno risposto positivamente. L’iniziativa è stata presentata il 15 giugno dal presidente della comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo e dal direttore generale del dipartimento immigrazione del ministero del Welfare, Giuseppe Silveri. Il presidente ha spiegato che il progetto “punta sulla responsabilizzazione dei genitori che non solo devono garantire la regolare frequenza del figlio, ma partecipare attivamente, presentandosi spesso a scuola per parlare con gli insegnanti. I risultati – ha sottolineato Impagliazzo – sono stati sorprendenti: la maggior parte dei genitori ha usato i soldi per acquistare quaderni e materiale scolastico”.
Su 42, solo 12 bambini non hanno rispettato le regole e non hanno ottenuto la borsa, vale a dire solo uno su quattro. Quasi tutti i bambini coinvolti sono stati inseriti nella scuola elementare romana Iqbal Masih (divenuta famosa per la presenza dell’85% di alunni di origini non italiane). Ed anche altre cinque scuole primarie sono state coinvolte, con l’inserimento di sette bambini. “Questo è un progetto esemplare con un successo evidente – ha sottolineato Silveri – tanto che già il Comune di Napoli e quello di Milano hanno mostrato interesse. I soldi ci sono: le amministrazioni comunali hanno a disposizione i fondi erogati dal ministero del Welfare agli enti locali proprio per questo tipo di progetti”. Ma dove i municipi manterranno i cordoni della borsa troppo stretti, la Comunità, ha annunciato Impagliazzo, lancerà “l’adozione a distanza”: “Oggi noi – ha sottolineato – seguiamo 8 mila adozioni a distanza nei Paesi dell’Africa e dell’America Latina. Proporremo alle famiglie di buona volontà di fare altrettanto per bambini meno distanti, ma che hanno altrettanto bisogno: chiederemo di adottare un bambino rom, per permettergli di andare a scuola”. Gli ottimi risultati ottenuti fanno pensare che presto verrà adottato anche altrove. “E la cosa più importante – ha spiegato il presidente della Comunità – è che il progetto è replicabile anche con operatori non della Comunità di Sant’Egidio. Il problema di molti progetti di inserimento scolastico – ha continuato – è che puntano tutto sull’inserimento e poi trascurano la frequenza. Negli ultimi anni sono cresciute molto le iscrizioni a scuola. Ma su 17.500 minori rom e sinti in Italia, solo 219 sono quelli iscritti alle superiori. Li perdiamo per strada. Questa iniziativa premia la frequenza, investendo tutto sulla continuità”. Quel che è emerso chiaramente dall’esperienza sinora svolta è che coinvolgendo e responsabilizzando la famiglia nella scolarizzazione del bambino si pongono delle buone basi per l’integrazione. “Il risultato – ha concluso Impagliazzo – è un circolo virtuoso, che ci ha permesso di organizzare feste di quartiere a cui hanno partecipato famiglie italiane e rom, che si sono svolte senza alcun problema di razzismo”.