I lettori ci scrivono

La consapevolezza dopo un corso di formazione

Ritorno da un corso di formazione. Incontro visi conosciuti negli anni di carriera come docente, e visi nuovi talvolta giovani, talvolta più o meno rugosi come il mio: non tanto per l’età quanto per i segni indicanti stanchezza fisica e psicologica e soprattutto delusione e amarezza, se non arresa dinanzi al nulla che resta di questo giocattolo chiamato Scuola.

E non ci voleva un corso di 5 ore per comprendere, o meglio essere consapevoli non soltanto della frustrazione regnante in ogni angolo del docere, ma grottesca e amara consapevolezza che tutto è solo un tavolo da gioco dove i Politici muovono le loro pedine in funzione delle logiche elettorali e elettorali-sindacali: e la eco del volgo sale non come saggio consiglio che nasce dall’esperienza di anni ed anni che di questo gioco chiamato Scuola sono stati e sono ancora gli inventori e i reali giocatori professionisti.

E la eco sale non come profumo di incenso, bensì come quel’acre sapore disgustevole delle mense del feriale, dove la vita reale non è un gioco, ma un giorno dopo giorno nell’inventarsi un modus non soltanto vivendi, ma soprattutto essendi, e per cui le maschere servono soltanto per coprire la fatica il dovere l’impegno il credo di chi a quei Tavoli non è dato di sedere: perché vincerebbero di certo.

E nelle cinque ore, tra i silenzi di chi attento ascolta come dovrebbe un buon studente, o di chi ancora non ha perso la bellezza della curiosità che è conoscenza del sapere e sapere della conoscenza, in questa attenzione ascoltante, tutto il desiderio di una indicazione, di un riferimento che dia senso al non senso, o al senso perduto, perché oggi soltanto violato e violentato, spogliato dalle proprie funzioni, denudato dal proprio fondativo, reso servizio che risponda ai capricci di chi questo servizio lo paga con le rette, sconfuso (non confuso, è una mia licenza, perdonatemi) tra le scartoffie inutili e ingombranti della burocrazia, come se la Scuola fosse semplice amministrazione della Cosa Pubblica (funzione che non le compete affatto, ove, oltremodo, il Funzionario comanda con l’arma della paura che nel simbolo della Riservata trova sua manifestazione di fallimentare autorità, quale in realtà dichiarazione della incapacità a gestire, assente di sensibilità e di ascolto, dimentico di essere stato ancor prima un addetto ai lavori promosso alla Funzione più alta, quella del DS: e questa è una offesa alla intelligenza degli addetti ai lavori, che sono anche persone con un privato, persone con tutto quello che definisce la parola PERSONA, e non numero o schiavo con lo zaino colmo degli strumenti necessari alla conoscenza all’apprendimento alla competenza: al docere).

E nelle cinque ore, soltanto l’affermativo di una Volontà a Non Volere, o se vuoi quel cambiare tutto per non cambiare nulla gattopardiano. Ed allora?
Torno a casa, e la domanda che accompagna il mio ritorno è semplicemente: e allora?

Soggiacere al gioco di quei Tavoli, o fare saltare gli stessi attraverso tutti gli strumenti democratici civili e non violenti, nell’UNITA’ di un Corpo che spesso è disunito, e sostituire la logica Politica con quella concreta dell’esperienza sul campo: ribaltando il tutto. Oppure, affrontare il giorno dopo giorno con quell’impegno che comunque ci caratterizza, con quell’amore che ci rende Veri, in attesa di una pensione che non gratificherà certo gli anni del docere, ma almeno è come quel silenzio della sera che scendendo copre tutte le cose con la pietà del buio.

I Politici non hanno conoscenza del settore di cui ne sono gli organi ed i rappresentanti autorevoli, i Sindacati comprendono che non sono più (o comunque la possibilità di non essere più), la Voce del feriale. Poiché questa Voce non è più rappresentata da LORO (Sindacati), e non segue più da tempo le risposte date quali offerte, quali armi spuntate. perché parte delle logiche e delle conseguenti mosse del gioco di quei Tavoli.

Poiché è la Voce, senza trucchi, del reale che da solo si rappresenta e si racconta e si manifesta e scende in battaglia in prima linea rivendicando il non rivendicato, il non ascoltato: POTESTAS IN POPULO.

Chissà che senza necessariamente le barricate, le sassate, le bottiglie incendiarie, senza i cortei di protesta, ma semplicemente con una MATITA non si riesca finalmente a sedere noi a quei Tavoli, e finalmente, con umiltà, dettare le regole del gioco, restituendo il dovuto a quel fondativo, che è poi la pietra angolare che si vuole scartata, perché è la dimensione lo spazio della costruzione di Buoni Cristiani ed Onesti Cittadini. E se Cristiani vi infastidisce, almeno si salvi l’Onesti Cittadini. Cioè l’UOMO.

 

Mario Santoro

 

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