La sentenza con cui, il 2 novembre scorso, la Corte Costituzionale ha bocciato alcune parti della legge regionale toscana in materia di istruzione (la n. 63 del 2009) ha trovato poco spazio sui mezzi di informazione e pochissimi commenti da parte sindacale.
In realtà si tratta di una sentenza importante perché la legge toscana prevedeva particolari modalità di assolvimento dell’obbligo scolastico e di conseguimento della qualifica professionale triennale.
L’articolo 3 della legge, in particolare, parlava di percorsi triennali al termine della secondaria di primo grado formati da un primo biennio interamente e solamente scolastico completato da un terzo anno professionalizzante da frequentare in scuole accreditate o presso altre agenzie formative regionali.
La Corte ha sancito l’illegittimità per due motivi: innanzitutto per una questione formale, in quanto la Regione Toscana avrebbe assunto una decisione unilaterale senza aspettare che fossero adottati gli accordi Stato-Regioni previsti dalla legge (accordi che però sono stati sottoscritti nell’aprile 2010) ora ci sono .
Tanto che la Regione ha già fatto sapere che in realtà non si tratta di una vera e propria bocciatura e che probabilmente la legge verrà riproposta nuovamente, dato che ora gli accordi Stato-Regioni sono operanti.
Ma il secondo motivo addotto dalla Consulta è più consistente e decisivo e rende molto problematica una eventuale riproposizione della legge.
La Corte, infatti, argomenta che quello previsto dalla Regione Toscana è un percorso formativo terzo, diverso da quelli contemplati per assolvere l’obbligo. In altre parole la soluzione prospettata dalla Toscana comporterebbe la rottura dell’unità del sistema nazionale di istruzione e formazione.
La decisione della Corte (per inciso va detto che la sentenza è stata scritta da Sabino Cassese che, nella metà degli anni 90, fu Ministro della Pubblica Amministrazione durante il Governo Ciampi) non ha ricevuto la dovuta attenzione; si registra solo un rapido commento della Cisl-Scuola che osserva: “la sentenza apre un vasto ventaglio di problematiche e possibili soluzioni dei modelli organizzativi del sistema di istruzione e formazione professionale adottati dalle Regioni”.
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