La Consulta dichiara l’incostituzionalità della trattenuta del 2,50%
Sia il Tar Calabria che il Tar Umbria avevano sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni in legge 30 luglio 2010 n. 122 ritenendo illegittimo il perdurare del prelievo del 2,50% sull’80% della retribuzione (sin qui operato a titolo di rivalsa sull’accantonamento per l’indennità di buonuscita). Come avevamo già evidenziato in precedenza, a seguito dell’entrata in vigore dal gennaio 2011 della legge n. 122/2010, ai lavoratori pubblici è stata estesa la medesima modalità di finanziamento previsto per i lavoratori privati, stante l’equiparazione ricavabile dalla disposizione generale prevista dall’articolo 2120 del codice civile.
L’Inpdap con circolare n. 17 dell’8/10/2010aveva illustrato i contenuti e le modalità applicative delle nuove regole in materia di trattamento di fine servizio e trattamento di fine rapporto per i pubblici dipendenti, precisando che anche dopo l’1/1/2011 sarebbero rimaste invariate le modalità di contribuzione, nel senso che una parte sarebbe rimasta a carico dei lavoratori pubblici, trattenuta alla fonte in busta paga (contrariamente a quanto avviene per i privati).
Secondo una opinione pressoché unanime, detta interpretazione delle norme fornita dall’Inpdap, secondo cui la normativa avrebbe mutato unicamente le regole sulla modalità di calcolo e non la natura della contribuzione, era da ritenersi illegittima in quanto, in costanza di rapporto d’impiego, avendo la sola conseguenza di sottrarre al lavoratore pubblico parte della stessa retribuzione (mediante la trattenuta del 2,50% alla fonte effettuata dall’amministrazione datrice di lavoro), a differenza del lavorato privato, e di diminuire di conseguenza l’importo complessivo del trattamento di fine rapporto che il dipendente va maturando in costanza di rapporto di lavoro.
Da diversi mesi sono state quindi avviate numerose azioni giudiziarie per bloccare le ritenute, invocando un primo orientamento espresso in merito dalla giurisprudenza amministrativa.
Con sentenza non definitiva n. 53 del 18/1/2012, il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione di Reggio Calabria aveva infatti accolto un ricorso proposto da alcuni magistrati amministrativi, i quali lamentavano proprio l’illegittimità delle decurtazioni del trattamento retributivo, previste dal D.L. 31/5/2010 n. 78 convertito, con modificazioni, in legge 30/7/2010 n. 122, con la conseguente condanna dell’amministrazione alla restituzione delle somme illegittimamente trattenute, chiedendo la rimessione alla Corte costituzionale della legittimità della legge 30/7/2010 n. 122.
I ricorrenti avevano chiesto che venisse accertata l’avvenuta abrogazione della disciplina sull’indennità di buonuscita, disposta – a decorrere dall’1 gennaio 2011 – dal comma 10 dell’art. 12 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni in legge 30 luglio 2010 n. 122 e, conseguentemente, l’illegittimità del perdurare del prelievo del 2,50% sull’80% della retribuzione (sin qui operato a titolo di rivalsa sull’accantonamento per l’indennità di buonuscita), con la relativa restituzione degli accantonamenti già eseguiti dall’amministrazione.
Secondo i ricorrenti, la norma imponeva che il computo dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, in riferimento alle anzianità contributive indicate dall’art. 12 della legge, dovesse avvenire secondo la disciplina del Codice Civile (art. 2120), stabilendo un accantonamento del 6,91% sull’intera retribuzione; da ciò conseguendone l’illegittimità del cumulo dei due istituti (ossia la perdurante trattenuta del 2,50% sull’80% dei redditi del dipendente, in aggiunta all’istituto di nuova introduzione per effetto della norma in esame).
Il Tar Calabria ha condiviso la predetta tesi, secondo cui l’intero complesso normativo previgente alla legge 122/2010 sarebbe da intendersi implicitamente abrogato dal comma 10 dell’art. 12 (“con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1 gennaio 2011”).
Invero, la predetta disposizione esplicherebbe un chiaro effetto novativo dell’istituto, dal momento che disciplina ex novo la medesima materia, in costanza dei medesimi presupposti di fatto che erano presi in esame nella normativa precedentemente in vigore, introducendo quindi una differente modulazione del contributo (diversa percentuale sull’intera base stipendiale), richiamando la disciplina dell’art. 2120 del cod. civ., e dunque la disciplina civilistica del trattamento di fine rapporto, nell’ambito della quale la rivalsa del 2,50% a carico dei dipendenti non è praticata, perché non prevista in alcun modo.
A fronte di siffatte motivazioni, il Tar Calabria ha quindi accolto il ricorso, ritenendo illegittime le ritenute operate dall’amministrazione, riservandosi di inviare gli atti alla Corte costituzionale.
Anche il Tar Umbria in un procedimento analogo ha rimesso gli atti alla Consulta, censurando il comma 10 dell’art. 12 del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui dispone che sulle anzianità contributive a fare tempo dal 1º gennaio 2011, si applica l’aliquota del 6,91%, senza determinare il venire meno della trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50% della base contributiva della buonuscita, operata a titolo di rivalsa sull’accantonamento per l’indennità di buonuscita, in combinato con l’art. 37 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032, in quanto detto regime violerebbe gli articoli 3 e 36 della Costituzione, allorché la trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50% della base contributiva della buonuscita, produrrebbe una riduzione dell’accantonamento, illogica anche perché in nessuna misura collegata con la qualità e quantità del lavoro prestato.
La Corte Costituzionale con sentenza n. 223/2012 depositata l’11 ottobre scorso, ha accolto le censure sollevate dal Tar Umbria dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 10, del D.L. n. 78 del 2010, nella parte in cui non esclude l’applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari al 2,50% della base contributiva, prevista dall’art. 37, comma 1, del D.P.R. n. 1032 del 1973.
I giudici di legittimità, in particolare, hanno rilevato che fino al 31 dicembre 2010 la normativa imponeva al datore di lavoro pubblico un accantonamento complessivo del 9,60% sull’80% della retribuzione lorda, con una trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50%, calcolato sempre sull’80% della retribuzione. La differente normativa pregressa prevedeva dunque un accantonamento determinato su una base di computo inferiore e, a fronte di un miglior trattamento di fine rapporto, esigeva la rivalsa sul dipendente.
Nel nuovo assetto dell’istituto determinato dalla norma impugnata, invece, la percentuale di accantonamento opera sull’intera retribuzione, con la conseguenza che il mantenimento della rivalsa sul dipendente, in assenza peraltro della “fascia esente”, determina una diminuzione della retribuzione e, nel contempo, la diminuzione della quantità del Tfr maturata nel tempo.
A parere della Corte Costituzionale, la disposizione censurata, a fronte dell’estensione del regime di cui all’art. 2120 del codice civile (ai fini del computo dei trattamenti di fine rapporto) sulle anzianità contributive maturate a fare tempo dal 1º gennaio 2011, determina quindi – irragionevolmente – l’applicazione dell’aliquota del 6,91% sull’intera retribuzione, senza escludere nel contempo la vigenza della trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50% della base contributiva della buonuscita, operata a titolo di rivalsa sull’accantonamento per l’indennità di buonuscita, in combinato con l’art. 37 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032.
La norma è stata quindi ritenuta in contrasto con gli articoli 3 e 36 della Costituzione, in quanto nel consentire allo Stato una riduzione dell’accantonamento, irragionevole perché non collegata con la qualità e quantità del lavoro prestato e perché – a parità di retribuzione – determina un ingiustificato trattamento deteriore dei dipendenti pubblici rispetto a quelli privati, non sottoposti a rivalsa da parte del datore di lavoro.
A fronte della dichiarazione di incostituzionalità della norma, tutti i dipendenti pubblici hanno quindi diritto alla restituzione delle trattenute indebitamente operate a decorrere dal 1° gennaio 2011.