Quello della continuità didattica è considerato per lo più un criterio indiscutibile, soprattutto nella scuola primaria.
A richiederne (e anche a pretenderne) il rispetto sono molto spesso non soltanto i docenti direttamente interessati ma anche i genitori.
Certamente per gli alunni i vantaggi di proseguire il proprio percorso formativo avendo come riferimento lo stesso insegnante per i 5 anni della scuola primaria sono fuori discussione.
Ma la continuità didattica non va neppure sopravvalutata più del necessario perché psicologi e pedagogisti avvertono che anche il “cambiamento”- se gestito in modo corretto – può avere effetti positivi.
Probabilmente quello che conta di più è invece il progetto della scuola che non può variare secondo gli umori dei docenti: nel momento in cui l’istituzione scolastica approva il proprio piano dell’offerta formativa tutti i docenti si devono sentire impegnati a rispettarlo e a metterlo in pratica, a maggior ragione se lo hanno liberamente votato.
Per la verità va anche detto che quello della continuità didattica, come viene per lo più interpretato e praticato nelle nostre scuole, non è un principio universale.
Per esempio nelle stesse scuole italiane all’estero vige un principio del tutto diverso, come testimonia una insegnante italiana che insegna in una classe italiana della scuola europea di Bruxelles.
Nella intervista che riportiamo, Luisella Vigliecca ci racconta che quest’anno insegna in una classe seconda, ma sa già che il prossimo anno dovrà cambiare classe; può darsi che incontrerà di nuovo i suoi alunni in classe quarta o forse in quinta. Perché questa è la regola della loro scuola accettata e condivisa dai docenti e anche dalle famiglie.
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