Nel giugno scorso la Consulta si è pronunciata sul prolungato blocco dei contratti pubblici, iniziato con governo Berlusconi (2010), proseguito con Monti e Letta e confermato dalla legge di Stabilità di Renzi (n. 190/2014).
La massima Corte ha riconosciuto che non è più tollerabile il sacrificio al diritto a una retribuzione equa e adeguata all’impegno lavorativo.
Pertanto ha imposto al Governo di riaprire il tavolo negoziale. A mio parere la sentenza è stata fortemente condizionata da quella riguardante la mancata indicizzazione delle pensioni (marzo 2015), nella parte dove si specifica che la pronuncia non ha valore retroattivo, ma solo dal momento della pronuncia.
Ciò avrebbe comportato un esborso di circa 36 miliardi di euro. La disponibilità retroattiva di questa quota avrebbe contravvenuto il principio dell’interesse generale, citato nella sentenza. Bene, quali sono state le reazioni del Governo alla sentenza?
Un indisponente silenzio, se si esclude la dichiarazione del sottosegretario del Mef, Zanetti, che traccia il campo d’intervento dell’Amministrazione. Infatti, l’esponente governativo riconosce l’esigenza di ”accettare di confrontarsi con la sfida di una vera spending review che riguardi anche i costi del personale, garantendo scatti salariali a chi fa il suo dovere e smettendo di attribuire retribuzioni variabili di risultato a pioggia, come avviene un po’ dappertutto e non certo solo a Roma”.
La dichiarazione conferma che i nostri politici non leggono le sentenze. Troppi impegni, troppe riunioni lo impediscono. Infatti, il pensiero del sottosegretario non tiene conto della decisione della massima Corte che ha ribadito il valore costituzionale dei C.C.N.L. che hanno il compito di adeguare lo stipendio di tutti i lavoratori all’inflazione programmata – si badi non a quella reale, bensì a quella stabilita dal Governo.
Ovviamente la sentenza della Corte ha spiazzato il Governo e il silenzio è eloquente. Per rispetto istituzionale non si pronuncia, ma è chiaro che il Governo non applaude.
Dopo alcuni mesi Renzi finalmente scopre le sue carte, confermando anche in questo caso la posizione furbesca espressa con il rimborso parziale e “una tantum” sulle pensioni.
A fronte di un impegno di 6-7 miliardi di euro, necessari per un onesto riconoscimento, il governo stanzia 200 milioni di euro (poco meno del 5%). E questo significa 4 euro netti a regime in busta paga!!!
In questo modo il Governo formalmente rinnova i contratti, rispettando la decisione della Corte, quindi riportando la sua azione nell’area costituzionale.
Sostanzialmente è una presa in giro. La proposta è palesemente irricevibile, poco dignitosa nei confronti dei tanti lavoratori pubblici che nell’ottica dell’ottimizzazione – espressione molto usata dai dirigenti pubblici e non solo – spesso ” regalano” ore di lavoro e quelle poche riconosciute lo sono in modo assolutamente inadeguato. Renzi sa benissimo che i lavoratori pubblici hanno le “polveri bagnate”.
I limiti sono imposti dalla legge che regolamenta il diritto allo sciopero, finalizzato a ridurre i disagi degli utenti. E’ anche a conoscenza che tutte le iniziative parallele, come il blocco delle attività aggiuntive nella scuola, non riescono a ricompattare i lavoratori. E quindi il “divide et impera” aumenta la forza della controparte.
Pertanto, dopo qualche sciopero più o meno generale che farà contenti solo i sindacati e iniziativa parallela inconcludente, si giungerà grazie anche alla complicità delle parti sociali alla firma del “contractus horribilis, che nell’ottica dell’ottimizzazione comprenderà anche nuovi impegni e doveri.
Pessimista, forse. Probabilmente più realista!!! Ma a quale prezzo motivazionale?