“La corruzione è un male endemico del nostro Paese (nessuno ormai più dice “Nazione” -ndr), ma la via giudiziaria non è quella giusta per risolvere il problema. Lo si risolve nelle scuole, attraverso un’opera di educazione”.
“Forse”, ha continuato Colombo, “neanche 22 anni serviranno per cambiare se è così radicato nella cittadinanza il senso di trasgredire le leggi invece di rispettarle”.
Dunque, per l’ex Pubblico ministero, la via educativa è la migliore, più di altre soluzioni, anche se occorre a questo punto capire di quanti compiti bisogna investire la scuola che, come abbiamo anche noi pubblicato, da solo qualche settimana esce da una diatriba intono all’educazione sessuale, mentre di quella alimentare se ne discute da tempo, insieme a quella stradale, sanitaria e interculturale, senza dimenticare quelle contro il tabagismo, le droghe e perfino il risparmio solidale. L’educazione alla legalità invece punta al rigetto del fenomeno mafioso e delinquenziale a cui si può aggiungere anche quest’altra educazione contro la corruzione che però, come dice Gherardo Colombo, si risolve più che per via giudiziari per via educativa, partendo dalle scuole. Già, ma come e con quali soldi?
Se sono infatti del tutto condivisibili le parole dell’ex magistrato, pesantissimo è però il ruolo che si vuole appioppare alla scuola che, basta farci caso, diventa sempre una sorta di rifugio di tutti i peccati e un’acquasantiera dove mettere a giacere la coscienza della politica italiana. E infatti quando qualcosa non funziona, si pensi all’alcolismo per esempio, subito si dice che deve essere la scuola a fare educazione coi giovani per evitarlo e così sul lavoro minorile, buttandosi dietro le spalle la percentuale enorme, rispetto alla media europea, di dispersione e abbandoni dei nostri ragazzi, a cominciare del Neet. E chi li determina?
Strana Nazione la nostra, bisogna dirlo. Tutte le cure ai mali si affidano alla scuola, ma poi le si tagliano risorse con buffonesche accuse e stravaganti giustificazioni, mentre non si assicura stabilità ai precari, che lavorano con spade appuntite sulle loro teste, non si implementa chiarezza nei concorsi per arruolare personale preparato e motivato, si ignorano i contratti di lavoro e gli scatti di anzianità, favorendo così malavoglia e scoraggiamento, mentre le scuole crollano distillando ingiurie contro lo Stato distrattissimo e lontanissimo.
Uno Stato però che dà pure una immagine di sé litigiosa e ordinaria, tutta all’opposto di come le Istituzioni dovrebbero essere e che manda in televisione, nei dibattiti ma anche altrove, il personale più agguerrito, più menzognero, più taccagno dal punto di vista umano e culturale, elargendo esempi esattamente all’opposto di ciò che l’ex magistrato vorrebbe affermati. Ma non solo. Quanti sono gli ammiccamenti e i continui riferimenti alle raccomandazioni, a fregare gli altri, a essere più furbi e volpini per farsi strada nella vita?
E come si può educare fra l’altro all’anticorruzione se non funzionano, facciamo un solo esempio, i computer evidentemente antiquati e taccheggiati attraverso chissà quali accordi?
E come si educa alla legalità se già, con gli esami di stato alle porte, tutto l’interesse degli alunni è rivolto a come fregare la commissione, secondo una letteratura così vecchia e stratificata che solo a parlarne si diffonde l’orticaria?
È vero che la scuola è una sorta di filtro attraverso il quale sono passati e passano tutti i cittadini, per cui in quel frangente è possibile intervenire, educando e formando alla cittadinanza, ma per fare funzionare bene quel filtro occorre tenerlo sempre pulito ed efficiente. E come si fa?