Per migliorare la pubblica amministrazione non basta assumere nuovi dipendenti pubblici e garantire il turn over: occorre anche formare il personale in modo adeguato, con particolare attenzione alle competenze di carattere informatico. A sostenerlo è la Corte dei Conti: nella relazione in udienza, il presidente del coordinamento delle Sezioni Riunite in sede di controllo, Carlo Chiappinelli, parlando delle sfide del Pnrr ha detto che nella gestione dei dipendenti pubblici occorre tenere conto della “rapida trasformazione della società per effetto della crescente digitalizzazione della comunicazione e dei servizi”.
Questo significa che i lavoratori dello Stato per il futuro prossimo dovranno possedere “sempre più conoscenze e capacità pluridisciplinari, oltreché esprimere necessaria dimestichezza nell’uso degli strumenti digitali e coerente flessibilità operativa”.
L’elevazione del servizio prodotto, quindi, ha continuato Chiappinelli, non può passare solo per il cosiddetto “ricambio generazionale, dovendosi mettere in atto un massiccio intervento di riqualificazione del personale mediante specifica formazione che punti a sviluppare quelle aree di competenza prima trascurate”.
Una necessità che si realizza, ha sottolineato il rappresentante della Corte di Conti, “anche attraverso attività di reskilling, nel solco della digitalizzazione dei processi e dei servizi pubblici”.
Sempre Chiappinelli ha detto che è necessario introdurre un “razionale utilizzo delle risorse umane per garantire un supporto concreto al rilancio degli investimenti”, così da permettere il “rilancio” la realizzazione “di opere, anche a livello territoriale, supportate da apposite strutture tecniche in grado di favorire i processi di digitalizzazione dei diversi ambiti e settori della vita sociale: scuola, università, sanità, assistenza sociale, protezione dell’ambiente e del territorio”.
In prima battuta, l’intervento del presidente del coordinamento delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti, appare in linea con quanto previsto dal decreto legge 36, appena approvato in Senato e da lunedì prossimo atteso all’esame (con esito pressoché scontato) alla Camera.
L’impressione è che, però, almeno per i dipendenti della scuola, alle buone intenzioni non abbiano fatto seguito dei provvedimenti legislativi adeguati: della formazione incentivata dei docenti, incentrata sui “processi di innovazione didattica e organizzativa”, che i sindacati non esitano definire “finta”, andranno a beneficiare solo una parte dei lavoratori.
E anche la formazione che interessa probabilmente di più la Corte di Conti, quella “che ricomprende le competenze digitali e l’uso critico e responsabile degli strumenti digitali con riferimento al benessere psicofisico degli allievi con disabilità e ai bisogni educativi speciali”, alla fine non riguarderà tutti i docenti.
La norma iniziale è stata infatti cambiata in corso d’opera: la formazione sarà obbligatoria solo per i neo immessi in ruolo, mentre per tutti gli altri docenti sarà a carattere volontario. In pratica, solo chi aderirà verrà incentivato con incrementi stipendiali una tantum.
Questo significa che, almeno per il momento, sulla formazione permanente di docenti e Ata non si può ancora parlare di svolta rispetto alla Buona Scuola del 2015: il processo, che per ora prevede la formazione volontaria e delle cosiddetta figure di sistema, è solo agli inizi.
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