Insegnare è un mestiere sempre più difficile e sempre più spesso le cronache ci raccontano di storie di docenti sopraffatti dal disagio e dallo stress.
Le ragioni del disagio sono insite nel mestiere di insegnare e nelle relazioni che esso comporta.
I docenti, infatti, educano e insegnano attraverso la “trasmissione” e la condivisione di informazioni, lasciando ricordi e tracce negli allievi che incrociano nel corso della loro carriera professionale; lo studente, per parte sua, appare trasformato dall’intervento didattico nella misura in cui dimostra di aver acquisito uno spirito critico e le competenze richieste dal percorso di studi intrapreso.
Oggi il percorso scolastico e il suo contesto educativo si sono fatti sempre più complessi: le tipologie di studenti con le loro modalità e difficoltà di apprendimento vanno sempre più affrontate con attenzione, se non addirittura cautela.
In generale i docenti lamentano la difficoltà di interessare e motivare studenti che apparentemente pare possiedano capacità di ascolto e di rielaborazione dei contenuti disciplinari, ma nel concreto – come osserva la psicoterapeuta Bartolomea Granieri – dimostrano di essere distratti “da un rumore di fondo che inquina lo spazio relazionale e rende incomprensibile e non riproducibile la conoscenza che il docente ha trasmesso”.
La cultura e la preparazione degli insegnanti non è più sufficiente per interagire con i giovani studenti: è necessario porsi in una posizione di ascolto che sappia intercettare le modalità di percezione e di attenzione di un uditorio sempre più “distratto”.
D’altronde, l’insegnamento non può più essere considerato un processo tecnico e riproducibile, ma (il filosofo Edgar Morin lo ripete da decenni) è da considerarsi un’arte, che sa creare un contesto relazionale protetto, dove le differenze personali e le difficoltà dell’eterogeneità del gruppo classe trovano uno spazio sicuro e un ascolto accogliente.
Il docente, il soggetto-artista, è uno degli attori principali della scuola: con i suoi pensieri, le sue emozioni, i suoi timori, i suoi disagi psicologici.
Oggi la cronaca riporta numerosi casi di malessere psicologico della classe docente: maestre che finiscono sulle prime pagine dei giornali per presunti maltrattamenti a piccoli allievi, docenti che subiscono offese verbali e fisiche da studenti e genitori.
Senza voler entrare nel merito di questi fatti di cronaca, la cui conoscenza va approfondita per comprenderne le ragioni e le possibilità di intervento tempestivo ed efficace evitando così dolorose conseguenze, è necessario sottolineare un elemento presente e condizionante le istituzioni scolastiche: il contagio psichico.
A questo proposito, essere un adulto competente non impedisce al docente di rischiare il contagio psichico: cioè il rischio di restare invischiati nelle ansie personali e in quelle professionali dell’ambiente scolastico, tanto da rendere necessaria, come afferma sempre Granieri, “una propria cultura emotiva di docente”.
La cultura emotiva consente di districarsi tra le ansie della relazione insegnamento- apprendimento, che coinvolge studenti, genitori e docenti, distinguendole dalle ansie professionali
Che, se incomprese e inascoltate, possono indurre i soggetti colpiti a prendere decisioni e mettere in atto comportamenti incoerenti, insani e aggressive.
Inoltre, la cultura emotiva consente di analizzare gli aspetti meno dignitosi della mente umana, consentendo un contenimento e una protezione da reazioni e comportamenti distruttivi e lesivi della propria dignità e di quella altrui.
Quando si parla di cultura, si parla di un fenomeno che ha connotazioni personali e sociali; si parla di un ambito che interessa la vita di una comunità intera, senza escludere nessuno, tutti responsabili e partecipi di uno scopo civile comune: insomma, se per allevare un bambino è necessario un intero villaggio…l’intero villaggio è chiamato a rispondere dei successi e degli insuccessi.
Insomma, come avrebbe detto il pedagogista Danilo Dolci, “Ciascuno cresce solo se è sognato”
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