Emerge ormai con chiarezza inequivocabile come il lockdown e in particolare la chiusura di tutti o quasi i servizi educativi, a cominciare da scuole e atenei, abbia messo in luce le talvolta enormi differenze sociali nella possibilità di accedere ai servizi di DAD.
E’ della fine della scorsa settimana l’annuncio dato dal presidente della Comunità di Sant’Egidio di Roma, Marco Impagliazzo, che ha rivelato come un’indagine svolta su un campione di circa 900 bambine e bambini delle scuole primarie di Roma, solo una piccola minoranza di loro abbia avuto lezioni online per più di 3 o 4 volte a settimana, mentre il 61% ha dichiarato di non averne affatto usufruito. A questo dato drammatico fa eco la pubblicazione di numerose testimonianze anche in altri paesi, tra cui spicca il Regno Unito. In un articolo apparso il 18 maggio 2020 su The Guardian i giornalisti Adams e Stewarts (https://www.theguardian.com/politics/2020/may/18/keeping-schools-closed-in-england-will-widen-educational-inequalities-study-ifs descrivono in maniera chiara le differenze sociali che si sono verificate durante il periodo di eLearning.
Le indagini sin qui svolte nelle scuole inglesi mostrano che, analizzando oltre 4000 famiglie, secondo l’Institute for Fiscal Studies, i bambini e le bambine che provengono da classi sociali più agiate abbiano avuto molte più esperienze di didattica a distanza, rispetto a quelli dei ceti più poveri. La ricerca ha coinvolto genitori di bambini e ragazzi tra i 4 e i 15 anni, nel periodo compreso tra il 29 aprile e il 12 maggio. Queste differenze, spiega Lucy Kraftman, ricercatrice ed economista dell’IFS, erano già preesistenti, tuttavia la forbice sociale si è allargata, tanto che ad oggi quasi il 40% dei genitori intervistati auspica che si creino le condizioni per dare i propri figli l’opportunità di riprendere la scuola.
L’indagine britannica dice inoltre che per gli scolari della primaria con condizioni sociali di maggior benessere il tempo quotidiano trascorso in attività di apprendimento è risultato maggiore di oltre il 30 % (ma si arriva a punte del 90% in alcune aree urbane) di quello utilizzato da quelli provenienti da nuclei familiari più disagiati. Nel caso delle scuole secondarie i ragazzi più benestanti hanno trascorso mediamente circa 6 ore al giorno in attività didattiche online, mentre tra i meno abbienti si registra un tempo quasi dimezzato.
Non ci sorprende, ha dichiarato al The Guardian Jules White, preside della Tanbridge School nel Sussex, area che si affaccia sul Canale della Manica, a sud di Londra, e ha aggiunto se il governo e i responsabili dell’education ne sono consapevoli, perché non favoriscono il rientro di questi bambini vulnerabili prima di altri?
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