La didattica a distanza è stata provvidenziale per tenere un filo diretto tra gli alunni e la scuola, per non interrompere la formazione, seppure con modalità meno efficaci e con strumenti non sempre adeguati. Però, il prezzo da pagare non è stato lieve, come ha scritto l’Istat pochi giorni fa. A sostenerlo sono ora i ricercatori dell’Istituto di ricerca Ires dell’Emilia Romagna che hanno realizzato un’indagine promossa dalla Rete degli studenti medi, dall’Unione degli universitari e dal sindacato dei pensionati Spi-Cgil: dallo studio, dal titolo “Chiedimi come sto“, presentato a Roma il 20 maggio nei locali di Scomodo, allo Spin Time Labs, è emerso che la DaD avrebbe prodotto tra i giovani che l’hanno praticata fenomeni non indifferenti di ansia, paura, preoccupazione per il futuro, aumento dei disturbi alimentari e degli episodi di autolesionismo.
In generale, dall’indagine – durata un mese e che ha coinvolto ben 30mila studenti delle scuole superiori e universitari – è emerso che nove studenti su dieci hanno manifestano un forte disagio, sfociato in alcuni casi anche in importanti criticità psicologiche che hanno minato la salute mentale.
Addirittura, un quarto degli studenti, il 26,4%, ha pensato di abbandonare gli studi durante l’emergenza sanitaria e l’esperienza della Dad.
In generale, la didattica a distanza, in generale, ha prodotto diverse criticità accentuando il disagio psicologico e incidendo negativamente sulla salute mentale degli studenti: diffuse la noia (75,5%), la fatica a stare davanti a uno schermo (69%), la demotivazione (67%), l’ansia (58,6%), il senso di solitudine (57%) e la difficoltà a vedere la propria immagine riflessa su uno schermo (47%).
Il 33,7% dei ragazzi intervistati ha inoltre segnalato difficoltà di natura tecnica, di connessione e di disponibilità delle strumentazioni necessarie.
Lo stesso ritorno a scuola e all’università non è stato indolore, con la principale forma di disagio costituita da interrogazioni, esami e verifiche in presenza (60,4%), meno dalle interazioni con compagni e insegnanti (33%).
Il disagio psicologico è chiaro: il 90% degli studenti riterrebbe utile avere un supporto psicologico a scuola o all’università: il 35% potrebbe usufruirne in prima persona.
Il 28% degli studenti ha dichiarato di avere disturbi alimentari, il 16% dei quali innescati dalla pandemia, mentre il 14,5% ha avuto esperienze di autolesionismo, la metà in coincidenza con il periodo della pandemia. Il 10% ha assunto sostanze e il 12% ha abusato di alcol.
Gli studenti hanno detto che il Covid ha anche prodotto anche un cambiamento dei comportamenti e delle abitudini, con l’aumento dell’uso dei social (78%), dei videogiochi (30,7%) e del fumo (18%).
Come sono ovviamente diminuiti gli incontri con gli amici, sia online che in presenza (48%) e la cura del proprio aspetto fisico (37%).
Dallo studio è emerso poi che il 64% dei giovani interpellato ha subìto un cambiamento dei ritmi del sonno.
Il 26,2% degli intervistati si è già rivolto a un servizio di supporto psicologico nel corso dell’emergenza sanitaria.
A fronte del disagio accertato tra i giovani, vi sarebbe tuttavia in molte famiglie un forte riluttanza a ricorrere allo psicologo: ” Farsi aiutare è ancora considerato un tabù, a livello culturale – ha detto la Rete degli studenti medi a Repubblica – Ogni giorno raccogliamo le testimonianze di chi ci riporta frasi tremende dette dai genitori” . Come “Non hai bisogno dello strizzacervelli”, “Mica sei pazzo”, “Ma che vai a fa’? Parla con noi”.
Per la Spi-Cgil, la sezione dei pensionati della sigla sindacale: “i ragazzi ora ci dicono con estrema chiarezza che stanno male e che vogliono uscire da questa profonda difficoltà. Sensibilizzando gli adulti, li sosterremo. Rappresentano il futuro del Paese”.