Politica scolastica

La delegittimazione dei prof? Ha radici antiche e troppe vestali

La delegittimazione della scuola ha un vulnus antico che riguarderebbe, non solo gli insegnanti ma anche la classe intellettuale in genere e dunque la cultura nel suo complesso.

Sono molti gli osservatori che si intrattengono su questo tema, soprattutto quando certi artisti ma anche, e con gravità maggiore, certi politici, si autoassolvono di non possedere una laurea, facendo leva e glorificando la loro fulminante carriera nelle istituzioni. 

Secondo un articolo apparso sul “Domani”, che proprio da questi concetti avvia la sua riflessione, il processo delegittimante sarebbe iniziato “con la prima retorica leghista, caratterizzata da un forte antiintellettualismo, infarcita di elementi ostentatamente popolani, ma in realtà populisti, che da antivalori vengono trasformati in valori. L’esaltazione del “fare” contrapposto al pensare, al riflettere risuona ancora oggi nel pensiero leghista”.

A questo iniziale attacco all’istruzione sarebbe seguito, secondo quanto si legge sul “Domani”, il frasario renziano contro “i professoroni”, il cui compito sarebbe quello, non di capire la società e il mondo per migliorarlo,  ma di complicare la realtà e dunque il suo ridurre, di Renzi, tutto a slogan per i talk show o per i comizi elettorali.

Subito dopo sarebbero seguiti gli attacchi all’istruzione e agli intellettuali da parte dei 5Stelle, con “l’uno vale uno”, annullando così “ogni distinzione fondata sulla preparazione, sul sapere, sullo studio. 

È stato avviata così la convinzione che chi governa può anche non essere più capace del semplice cittadino, cancellando parte di storia repubblicana che  nel 1948 aveva il 91% dei parlamentari laureati, mentre oggi sono solo il 70,3%. Che è un paradosso.

Altro esempio della strisciante ignoranza dei nostri politici? L’Italia è il Paese Ue che spende di più in traduzioni, poiché molti dei nostri europarlamentari non conoscono né l’inglese né il francese.

Ma non solo. Si guardi, scrive l’articolista su “Domani”, al clamore suscitato da politici ignoranti che osavano mettere in discussione scienziati e studiosi relativamente ai vaccini durante la pandemia.

 Ebbene proprio questa continua e progressiva delegittimazione è entrata pesantemente nel mondo scolastico con genitori che minacciano gli insegnanti, quando non sono gli studenti stessi ad aggredire i loro professori.

Un brutto voto? È una ingiustizia. Che può esserlo ma occorre nello stesso tempo pensare che “anni di studio, di formazione continua” danno comunque capacità di giudizio perché altrimenti l’intero sistema scolastico perde di senso.

Come perderebbe senso abolire le difficoltà per semplificare, ignorando che l’apprendimento “è lavoro, fatica, comporta anche qualche sconfitta, che deve spronare a migliorare”.

“Sembra -scriveva Calvino- che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze”.

Pasquale Almirante

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