La democrazia? Un concetto molto relativo. Soprattutto quando si prendono come riferimento realtà territoriali lontane dal nostro Paese fisicamente e culturalmente. Per rendercene conto basta raccontare quel che è accaduto ad un docente russo, reo di essersi spinto oltre il consentito nell’esprimere opinioni evidentemente considerate ‘controcorrente’. Ma tutt’altro che fuori luogo: il suo errore è stato quello di insistere scegliendo come interlocutore addirittura la prima carica dello Stato.
Questi i fatti. Il professor Vladimir Sorokin, vice direttore di un istituto scolastico, è stato rimosso dall’incarico dopo aver scritto al leader del Cremlino, Dmitri Medvedev. Nella lettera il docente ha illustrato la questione delle licenze di Windows e l’incompatibilità con gli altri sistemi utilizzati. Alla base della richiesta il fatto che l’istituto dove operava l’insegnante utilizzava dei software cosiddetti ‘liberi’, in particolare Linux e Ubuntu, i quali malgrado fossero anche previsti dai programmi ministeriali non prevedevano l’installazione su tali sistemi di un’applicazione obbligatoria per la scuola prodotta dalla Microsoft.
Alla base della forte reazione delle istituzioni russe vi deve però essere stato il fatto che non era la prima volta che l’insegnante scriveva al presidente per riferire di problemi di informatizzazione presenti nelle scuole. In quelle occasioni le autorità avevano intrapreso un dialogo, anche proficuo, con il docente. Ma questa volta la reazione è stata diversa. Un paio di settimane dopo l’invio della lettera, Sorokin è stato convocato dall’ufficio locale del ministero dell’Istruzione russo: qui gli hanno spiegato che non aveva alcun diritto di fare appello al Presidente.
Un’intraprendenza quindi costata a caro prezzo. Anche perchè sino a poche ore prima tutti gli utenti di Twitter, indipendentemente dalla loro posizione e lo status sociale, potevano rivolgersi al Presidente. Ottenendo persino gli auguri di compleanno. Guai però a farlo con insistenza e toni troppo forti.