Prologo: “Tra i due litiganti il terzo muore”
Care colleghe, cari colleghi, signori Dirigenti scolastici,
“Tra i due litiganti il terzo gode”. Lo afferma un proverbio. Perché quando due persone vanno a lite per accampare il possesso di qualche oggetto, o per avere un beneficio, in qualche occasione il vero beneficiario diventa un altro. Capita a volte ma non sempre. Perché in altre occasioni il proverbio vero da recitare dovrebbe essere “tra i due litiganti il terzo muore”.
Accade quando due medici litigano per arraffare qualche beneficio sulla pelle di noi pazienti. Accade quando un babbo e una mamma litigano davanti ai figli. Accade quando insegnanti e genitori fanno a gara per soffocare l’uno le ragioni dell’altro, o quando all’interno del servizio scolastico si litiga tra docenti, bidelli, custodi e dirigenti per accampare diritti presunti e di parte, perdendo di vista la vera ragione della nostra presenza a scuola: i nostri figli ed alunni, la futura classe dirigente, il nostro futuro. Eppure con i Decreti Delegati del 1974, che nella gestione della scuola hanno introdotto la collaborazione tra insegnanti, genitori e studenti, non si era partiti poi male.
Come è stato che poi siamo arrivati a questo punto? Ho provato a mettere in fila alcune questioni e qualche possibile risposta ha iniziato a fare capolino. Ne è venuto fuori un quadro composto da tessere che formano un puzzle inquietante. Ve le voglio proporre.
Tessera n. 1) – I dirigenti scolastici, attraverso l’assegnazione della dirigenza al posto della direzione delle scuole, di fatto in tante occasioni sono stati contrapposti ad insegnanti e personale tecnico, ausiliario ed amministrativo. Su di loro penzola la mannaia della valutazione negativa, ben illustrata dall’ex sottosegretario all’istruzione a Reggio Calabria nel mese di aprile del 2015, Davide Faraone, quando affermò testualmente in un incontro pubblico che “il dirigente scolastico deve essere considerato come l’allenatore di una squadra di calcio. Deve giocare il campionato fino in fondo, e se perde sono problemi suoi”;
Tessera n. 2) – Noi docenti, che attraverso il cosiddetto bonus premiale di fatto siamo stati contrapposti al personale Ata (personale amministrativo delle scuole, bidelli, custodi) esclusi da questo beneficio. Il messaggio in questo caso è stato fin troppo chiaro, e nel caso non lo fosse la legge 107 lo sviluppa fino in fondo, perché in tutta la sua lunga stesura il personale ATA viene nominato per dire che dovrà essere commisurato alle necessità della scuola, fare obbligatoriamente la formazione in servizio, ma senza alcun bonus, essere ridotto di 2020 unità;
Tessera n. 3) – Sempre attraverso il bonus premiale hanno contrapposto gli insegnanti da premiare (di solito il 30%) con quanti non potranno essere premiati (il 70%). Su questa tessera sorge spontanea una domanda che ho già rivolto, in occasione del varo del disegno di legge sulla scuola, al presidente del consiglio Matteo Renzi attraverso una lettera aperta: se gli insegnanti che lavorano al meglio fossero più di 30 su cento se ne lasceranno fuori una parte maggioritaria perché non rientra in quel 30 per cento fortunato? E se fossero meno del 30 per cento se ne porterebbe all’interno una parte che non rientra? Se quest’ultimo caso si verificasse, attraverso quale meccanismo si porterebbero dentro? Per “chiamata diretta”? Per estrazione? Altro? Ed infine: con il cosiddetto Bonus non sarebbe stato preferibile incrementare il fondo di istituto dissanguato per evitare soluzioni pasticciate nella sua assegnazione, permettendo di riconoscere il lavoro aggiuntivo per il funzionamento della scuola a tutti i lavoratori (Ata compresi), anziché distribuirlo attraverso la lotteria ad un trenta per cento di fortunati presenti in un solo comparto del servizio scolastico? È ancora possibile raggiungere un accordo, tra tutte le componenti scolastiche (genitori del comitato di valutazione compresi), per costruire un sistema di distribuzione diverso senza disattendere la legge 107?
Tessera n. 4) – attraverso la “Carta del docente” hanno contrapposto i docenti di ruolo ai docenti non di ruolo. Un po’ come affermare che i docenti non di ruolo, noti come “precari”, non possano avere nessun riconoscimento economico per potersi formare ed operare al meglio, anche se poi nel momento in cui lavorano con gli alunni devono sottostare alle stesse richieste di lavoro serio e responsabile degli insegnanti di ruolo, e per questo vengono valutati.
Dopo le tessere del puzzle illustrate finalmente la sua cornice. Perché quanti erano impegnati nella costruzione di quelle tessere in rapida sequenza:
a) hanno provato, attraverso una campagna stampa ben orchestrata, a mettere in subbuglio i genitori che portano a scuola i loro figli, tacciando noi insegnanti di essere per lo più non meritevoli (e qua ritorna il 70% di insegnanti non premiati);
b) hanno provato a convincere noi lavoratori della scuola che possiamo fare a meno delle organizzazioni di rappresentanza (i sindacati e le RSU), lasciando intendere che la legge da una parte, ed i dirigenti scolastici dall’altra, possano fornire tutte le risposte ai problemi economici ed organizzativi derivati da un condominio complesso come la scuola pubblica.
Due tessere mancanti
In coda a questo grande quadro inquietante esistono altre due tessere che formano un “quasi quadro a sé”. Le ho lasciate per ultime non perché siano meno importanti delle altre, ma per dare loro il risalto dovuto.
La prima riguarda le colleghe ed i colleghi che lavorano in forma precaria nelle nostre scuole. Su di loro pende la spada di Damocle di un passo della impropriamente chiamata “buona scuola”, attraverso il quale si dice senza mezzi termini che un lavoratore della scuola (Ata o docente) una volta maturati 36 mesi di supplenza, anche non continuativi, non potrà più essere chiamato per nessun incarico; la seconda tessera riguarda un passaggio attuativo non ancora arrivato in porto della legge sulla scuola, la riforma degli organi collegiali, sui quali al momento esistono ipotesi non formalizzate attraverso le quali sembrerebbe voglia superarsi la cultura del condominio introdotta dai Decreti Delegati del 1974 per sostituirla con una sorta di Consiglio di Amministrazione che vede e provvede. Con buona pace del condominio che, attraverso il confronto, anche serrato, decide insieme.
Vado a concludere.
Ho iniziato questa riflessione con la trasformazione di un proverbio molto antico, perché mi sembrava che “Tra i due litiganti il terzo muore” fosse sufficientemente provocatorio.
Mi sbagliavo. Perché da quanto ho messo in fila nel mio ragionamento, rispetto a quello che capita dentro e fuori le nostre scuole, non si sta assistendo al litigio tra due persone alterate ma ad una rissa da Saloon stile Far West.
Quanto dispiace è che in quel Saloon, pronto ad andare in mille pezzi, nel quale tutti siamo rappresentati, si faccia fatica a cogliere la presenza di provocatori animati dall’interesse di metterci gli uni contro gli altri.
Si tratta della politica, quella cattiva, a volte anche di un cattivo giornalismo che la scuola ed i suoi problemi non li conoscono per davvero.
È per questo motivo che voglio rivolgermi a colleghe e colleghi insegnanti, colleghe e colleghi del personale tecnico, ausiliario ed amministrativo delle scuole, di ruolo e non di ruolo, ai dirigenti scolastici disposti a capire quanto si sta orchestrando alle nostre spalle, per dire loro che da questa situazione incresciosa o se ne viene fuori tutti insieme oppure, al contrario, non ne verrà fuori indenne nessuno facendo diventare “tra i due litiganti il terzo muore” da trasformazione satirica di un proverbio molto antico nella compiuta realizzazione di una tragica realtà.
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