Ci siamo sentiti vincitori e abbiamo preso la natura sottogamba così, ci siamo ritrovati ad insegnare con la DAD.
Eravamo convinti che la tecnologia sarebbe stata in grado di padroneggiare completamente la natura e le relazioni così, per non perdere giorni di lezione e per assicurare la necessaria continuità didattica, ci siamo buttati a capofitto sul remoto, con la presunzione e l’arroganza di poter mantenere una parvenza di normalità.
Insegno a bambini di sette anni in una scuola a tempo pieno di Castelnuovo Vomano e ringrazio la mia scuola per aver dato, a me e ai miei alunni, l’opportunità e gli strumenti per scegliere consapevolmente i principi fondamentali a cui ispirarsi per poter trarre il migliore insegnamento. Non meno importante è il ringraziamento alle famiglie che affidano, con fiducia e sentimento, il futuro dei loro figli a me e ai miei colleghi.
La mia è una suola di periferia ma, senza farsi pubblicità alcuna, ha dotato gli alunni sprovvisti di dispositivi (tra cui, tanti immigrati provenienti da zone lontane come India, Pakistan e Bangladesh. Non è stato semplice perché non parlano una parola di italiano ma anche con l’aiuto della protezione civile, tutte le famiglie si sono sentite accolte ed hanno continuato a “fidarsi” della scuola e degli insegnanti).
Con l’ausilio delle TIC, ho scelto di proseguire la didattica preparando lezioni asincrone. Il momento della progettazione avviene sempre con una sorta di fotografia mentale nella quale passo in rassegna ognuno dei 17 di loro, scegliendo le parole, le situazioni e gli oggetti che più li aiutano a capire. Il momento sincronico, invece, lascio che sia un’opportunità di riflessione individuale e collettiva.
Ho scelto di NON bombardare i miei bambini e le loro famiglie con obblighi, restrizioni, scadenze e contenuti ma stimolare in loro la capacità di riflessione e di condivisione.
Il fil rouge è stato “la lentezza”. So bene che poter lavorare da casa a stipendio pieno, al momento rappresenta un “privilegio”. Il pensiero va ai bambini i cui genitori ogni mattina salutano i propri figli e vanno a lavorare ed anche a coloro che un lavoro non ce l’hanno più e insieme al portafogli vuoto, hanno anche il pensiero e la preoccupazione di come tirare avanti la baracca quando i risparmi finiranno.
La riflessione sulle condizioni altrui è estranea alla nostra condizione e alla nostra concezione e questa estraneità ci ha privati non solo della possibilità di riflessione ma probabilmente anche della capacità di osservazione. Senza osservazione non si può riflettere. Senza riflettere non si può capire.
Tutto quello con cui abbiamo relazione ci impone una fretta. Andare, tornare, cominciare, finire, leggere, parlare. Vivere. Accade tutto in fretta. Accade tutto senza una riflessione, e probabilmente senza una comprensione profonda dell’accadere, dell’essere, di quello che si dice, di quello che si fa. Diamo fretta al tempo.
Vogliamo che scorra più in fretta di quanto scorre. Abbiamo fretta di dare cominciamento ad una cosa diversa da quella che stiamo facendo, di pensare qualcosa di diverso da quello che stiamo pensando.
L’esperienza che facciamo è una esasperazione del sentimento del tempo. Un culmine. Una vertigine. Una frenesia. Una smania. Una crisi di senso. Forse è questa condizione che ci porta a fare più cose alla volta, con la conseguenza inevitabile di non poter riflettere su quello che facciamo, di non poter attribuire all’agire e al pensare un significato ed un valore esistenziali. Spesso di quello che pensiamo e che facciamo in un istante, perdiamo la memoria nell’istante successivo, perché non c’è stata riflessione, perché con il pensiero e con il fatto abbiamo avuto un rapporto sfilacciato e superficiale.
Diciamo che non c’è il tempo per fare una cosa alla volta, per pensare una cosa alla volta. Si tratta di una giustificazione che si può accettare oppure no. Certamente è vero che subiamo l’assedio di informazioni, di richieste, di pretese in taluni casi inutili, insensate; però è anche vero che in alcune situazioni non abbiamo la volontà di selezionare, di sottrarci, di rinunciare al superfluo, all’insignificante. Così ci sfugge l’essenziale, che consiste nel comprendere le cause e gli effetti di quello che pensiamo e che facciamo. Allora è come se non l’avessimo mai pensato, mai fatto. Qualcosa che ci è appartenuto evapora, si perde. Si potrebbe anche considerare come una mancanza di rispetto nei confronti di quello che ci riguarda, nei confronti di noi stessi.
Spesso la fretta ci costringe a guardare senza vedere, a sentire senza ascoltare, anche a parlare senza dare alla parola un’espressione semanticamente autentica, sostanziale. Così accade frequentemente che quello che vediamo, ascoltiamo, diciamo, non lasci nessuna traccia dentro di noi. Il nostro pensare e agire nella dinamica della fretta comporta la naturale conseguenza della provvisorietà, talvolta anche dell’insignificanza della relazione con gli altri e noi stessi. L’incontro con l’altro si brucia nell’episodicità, si depriva di emozione.
Ci manca il tempo per l’evocazione, per il richiamo, anche per l’invocazione. Ci manca il tempo per il silenzio che scava ed esplora la nostra dimensione interiore, che conforma le nostre percezioni, le nostre sensazioni, che ci mette in corrispondenza con la nostra coscienza e il nostro essere in un luogo, in un tempo, in un modo in cui non potremo essere mai più.
Forse si ha bisogno di conquistare una saggia lentezza. Si ha bisogno di apprendere, o riapprendere, a fermarsi un istante per un respiro profondo, a prendersi il tempo che ci vuole per riflettere, meditare sul senso delle cose, sulla loro importanza, sull’incidenza che hanno nel farsi dei nostri destini.
Si ha bisogno di un’intima armonia con i giorni che si attraversano, di una sintonia con le esperienze che ci riguardano; si ha bisogno del dubbio, dell’indugio, della ponderatezza. Soprattutto di un ribadire la consapevolezza che gli attimi ci sono concessi uno alla volta e una volta soltanto.
Il pensiero avverte la necessità della lentezza che permette di approfondire i concetti, di mettere a confronto diversi elementi, di riconoscere una valenza al passato come condizione di una crescita che ci ha formati nel modo in cui siamo, con le nostre identità, con i desideri inappagati o realizzati. Ho deciso che questo era il momento per tutto ciò.
LA PASSIONE PRIMA DI TUTTO. Questa libertà lascia ai ragazzi la possibilità di scoprire le proprie inclinazioni e coltivarle con dedizione e passione.
STAY HUNGRY. Non che l’esercizio non sia fondamentale per diventare dei veri innovatori ma il rischio di uno studio che non asseconda il talento è di erigere una trincea in un campo familiare del sapere, impermeabile a nuovi stimoli; inoltre, il più potente motore di studio e impegno è la passione, la prima scintilla da coltivare.
Riscoprire i valori iniziando a praticarli nel concreto e nel quotidiano, ovunque e con chiunque.
LA GENTILEZZA: imparare a essere gentili nei confronti di chi li circonda e il nostro esempio non può che aiutarli.
IL RISPETTO inteso come empatia, come accettazione dell’altro, come capacità di ascolto. Anche quando non condividiamo le scelte o le opinioni di chi ci sta accanto. Insegnando loro a mettersi nei panni dell’altro. Trasmettendo ai nostri figli che questa è la chiave per fare le vere amicizie, per convivere serenamente.
LA GENEROSITA’ concepita come l’intenzione di essere utile all’altro.
L’AMICIZIA sapere come prendersi cura degli amici, come mantenerli nella vita.
L’UMILTA’: aiutarli a non sentirsi superiori a nessuno e ad accettare i propri limiti, pur considerandoli una sfida per migliorare. Un bambino umile sarà sicuramente più felice, perché imparerà ad apprezzare le piccole cose, quelle che nella vita contano davvero.
L’AMORE PER LA NATURA
IL RISPETTO PER LA DIVERSITA ’intendendola in qualsiasi forma. Diversità di pelle, di cultura, di religione. Ma soprattutto diversità di opinioni.
LA PERSEVERANZA, inteso come sforzo costante. La forza di non arrendersi, la voglia di imparare per migliorare, l’energia per cercare soluzioni ai problemi possibili che incontreranno nel corso degli anni.
L’OBBEDIENZA conoscere le regole e saperle accettare, senza chiedere nulla in cambio. a chiedere, ad ascoltare e a controllare il loro comportamento in ogni situazione.
AUTOSTIMA aiutarli a credere in se stessi, nelle loro capacità come singoli individui, accettare i cambiamenti, ma soprattutto ad essere più autonomi, senza aver paura del mondo circostante. sbagliare non è un male, ma un’opportunità per diventare adulti migliori.
Sono solo una maestra di periferia, “io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare”.
Lettera firmata
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