Nel Rapporto annuale dell’Istat, pubblicato il 3 luglio, si parla in più punti del sistema scolastico: lo si fa rilevando il crollo delle nascite, che nel 2021 saranno meno di 400 mila, con inevitabili ripercussioni sulle iscrizioni, formazioni di classi e scuole; ma lo si fa anche quando si affronta il capitolo sulle “significative disuguaglianze” che hanno afflitto il nostro Paese negli ultimi mesi a seguito del Covid-19, con effetti diretti sulle persone più “fragili”.
L’Istituto nazionale di statistica parte, nella sua disamina, evidenziando “i differenziali sociali riscontrabili nell’eccesso di mortalità causato dal Covid-19”, con i meno istruiti maggiormente colpiti.
Dopo avere rimarcato che a seguito del Coronavirus nel mercato del lavoro hanno risentito di più dell’emergenza donne e giovani, più presenti nel settore dei servizi, l’Istat si è soffermato sulla chiusura delle scuole: una circostanza che ha prodotto un aumento delle diseguaglianze tra i bambini in termini di digital divide e di sovraffollamento abitativo.
“L’arrivo del Covid – sostiene Linda Laura Sabbadini, direttore centrale per gli studi e la valorizzazione dell’area sociale dell’Istat – ha portato al sovrapporsi delle disuguaglianze sulle precedenti disuguaglianze del mercato del lavoro”.
Secondo il direttore, “la chiusura delle scuole imposta dall’emergenza epidemica” ha comportato “un aumento delle diseguaglianze tra i bambini”.
I numeri sul possesso dei device parlano chiaro: “nel biennio 2018-2019, il 12,3% dei minori di 6-17 anni (pari a 850mila) non ha un pc né un tablet ma – sottolinea l’Istat – la quota sale al 19% nel Mezzogiorno (7,5% nel Nord e 10,9% nel Centro). Lo svantaggio aumenta se combinato con lo status socio-economico: non possiede pc o tablet oltre un terzo dei ragazzi che vivono nel Mezzogiorno in famiglie con basso livello di istruzione”.
Come se non bastasse, dei “svantaggi aggiuntivi per i bambini possono derivare dalle condizioni abitative. Il sovraffollamento abitativo in Italia è più alto che nel resto d’Europa (27,8% contro 15,5%), soprattutto per i ragazzi di 12-17 anni (47,5% contro 25,1%)”.
In conclusione, la mancanza di computer e tablet, o la presenza di un solo dispositivo, ha comportato seri problemi nella fruizione della didattica distanza: soprattutto nelle famiglie numerose, indigenti e di origine non italiana (quindi tra coloro che, già deprivati di loro, dovrebbero avere nella scuola un motivo rilevante di crescita personale). Condizioni che, tranne l’ultima relativa agli stranieri, si riscontrano in percentuale maggiore nel Meridione.
Ecco perché a settembre sarebbe bene non tornare alla didattica a distanza: una previsione che la ministra dell’Istruzione considera possibile, al momento, solo qualora dovesse verificarsi una seconda ondata di Coronavirus.
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