Capita, a volte, che un evento inatteso modifichi il normale procedere delle cose. Quando poi alla nuova circostanza si aggiunge il dolore, il cambiamento che ne consegue lascia una ferita tale da ritenerne impossibile ogni possibilità di rimarginazione. Il virus COVID 19, oltre a causare le conseguenze disastrose e drammatiche che ben conosciamo, ha condizionato i rapporti sociali e il normale svolgimento e la vita di innumerevoli settori produttivi, fra gli altri, anche quello della formazione.
E’ così tornato alla ribalta un dibattito in corso da tempo: quello della possibilità di sostituire la tradizionale lezione “in presenza” con la cosiddetta FAD, vale a dire la Formazione a Distanza.
Sgombrato subito il campo da una presunta obbligatorietà (che talvolta si sente aleggiare qua e là) della FAD, che non trova alcun riscontro normativo, la questione va inquadrata fondamentalmente su due piani: il primo è quello sostanziale, vale a dire dell’efficacia didattica, ed è quello di cui scriverò in questa mia, il secondo è invece quello normativo che risulta essere assai lacunoso, incompleto e come già detto necessario di ulteriori atti normativi. Va precisato però, ma non a discolpa, che l’assenza di un chiaro quadro normativo per quanto concerne l’erogazione della FAD e la mancata omogeneità nella sua adozione a livello nazionale ha lasciato spazio a varie interpretazioni (non musicali) sulla messa in opera della stessa anche se non mancano a riguardo esempi di garbo intellettuale e buon senso.
Ma c’è anche il piano 0. Quello del richiamato “dovere morale”, una sorta di ombrello sotto il quale qualcuno tende a ripararsi, forse per giustificare l’adozione della FAD tout-court, che induce a colpevolizzare chi semplicemente muove qualche giustificata critica al mezzo, aspetto, quest’ultimo, che va immediatamente chiarito: il nostro senso del dovere e dello Stato e l’attaccamento agli studenti e alle famiglie non è mai mancato e mai mancherà, in presenza o a distanza che sia.
Oggi ancor più di prima.
Chiarito questo, credo che invece non ci si possa esimere dall’analizzare la questione ed essendo chi scrive un docente di Conservatorio, in questa disamina ci si riferirà ovviamente al mondo dell’AFAM, ovvero dell’Alta Formazione Artistica e Musicale.
Il nostro è un settore atipico. Parlare di AFAM non è esattamente come parlare di Università. E questo non solo per dotazioni tecniche o esperienze pregresse di utilizzo o validazioni ministeriali del sistema telematico come è avvenuto e avviene per le Università. Premesso che quasi nessun Conservatorio è dotato di strumenti tecnologici per effettuare la FAD (installazioni permanenti, piattaforme dedicate, pc da offrire in comodato d’uso, formazione personale all’uso di tecnologie telematiche etc.), tralasciando che la formazione del personale docente all’uso di questi strumenti tecnologici non è stata mai avviata, nel mondo musicale la formazione si incentra sul rapporto ravvicinato e la parola è solo uno dei canali necessari nella relazione educativa in ambito artistico. Lo sguardo, il gesto, il contatto, il respiro sono elementi imprescindibili per una corretta trasmissione e acquisizione del sapere musicale. Questi elementi fanno parte di quella sfera “dell’inesprimibile”, di quelle vibrazioni dell’Anima di cui l’Arte Musicale è intrisa, costituendone la sostanza e l’essenza, elementi questi, certamente non trasmissibili virtualmente. Nessuna crescita artisticamente valida e compiuta può mai avvenire attraverso il filtro di uno schermo, magari accompagnato dall’assenza di sincrono audio-video, da intermittenze, ritardi e interruzioni. Per non parlare della qualità del suono e dell’impossibilità di gestire pratiche didattiche collettive come le esercitazioni orchestrali, corali, di musica da camera e d’insieme. E poi la postura, il peso, il tocco: sono elementi da trascurare? Non ha più alcuna importanza che un nostro studente rischi una tendinite o abbia uno squilibrio oro-facciale che solo l’insegnante in presenza può individuare in tempo per essere ben curato?
E ancora, che fine ha fatto il diritto allo studio? Forse questo è valido solo per coloro i quali, più fortunati, studiano uno strumento strutturalmente e economicamente più accessibile di altri, e che quindi si ritrovano in casa? Quegli studenti che tradizionalmente studiano in conservatorio, come i percussionisti o gli arpisti, che in questi mesi (e in quelli a venire) non hanno potuto studiare, che lezioni fa(ra)nno?
E le lezioni collettive? Il più delle volte costringono il docente ad effettuare monologhi poiché i microfoni aperti degli studenti causano un sovrapporsi di impulsi che generano confusione e incomprensione: dunque si riduce considerevolmente la quantità e la qualità della interrelazione.
Si obietterà dicendo che in questo momento è l’unica possibilità che si ha per trasmettere la formazione ed è doveroso farlo! Naturalmente, è più che doveroso in questa fase emergenziale dare senza riserva alcuna il nostro contributo, ma la mia analisi vuole manifestare la preoccupazione che questa modalità didattica si insinui all’interno delle Nostre Istituzioni, diventando una “prassi esecutiva” per dirla in termini musicali….una gestione del genere potrebbe incoraggiare una “insana” scelta istituzionale a formare “classi pollaio virtuali”, gestite da un solo insegnante, con una offerta formativa (ordinaria e non solo emergenziale), erogata in presenza oppure on line, che potrebbe “servire” in contemporanea più Istituzioni, smaterializzando e spersonalizzando la didattica (e gli istituti stessi), con la conseguente cospicua perdita di posti di lavoro non solo per i docenti ma anche per il personale scolastico, come già accaduto in occasione della costituzione degli Istituti Comprensivi nella scuola dell’obbligo (strada per altro già aperta nel nuovo regolamento sul Reclutamento del personale docente Afam, D.P.R. n 143 del 31.12.2019, art. 3. comma b).
Vi affido questa breve riflessione credendo fermamente che il progresso scientifico non deve mai sostituirsi all’Uomo ma deve sempre essere al suo servizio e come diceva San Papa Paolo VI deve tenere conto “..di ogni uomo e di tutto l’uomo…”, deve essere una marcia collettiva in avanti, per realizzare un vero e autentico “Populorum progressio”.
Luigi Grassadonia