Con l’emergenza Covid-19 è quasi all’improvviso venuta a galla questa nuova forma di didattica che vede docente e alunno non più uno difronte all’altro, dentro uno spazio condiviso, ma lontani, in spazi differenti e con differenti percezioni della realtà attorno.
Come tutti sappiamo infatti la nostra istruzione e i nostri programmi sono basati sulla trasmissione di un sapere essenzialmente dichiarativo e sulla centralità dell’insegnante-leader.
Con l’implementazione forzata delle lezioni a distanza, se per un verso si sono creati momenti di confusione e di incertezza, per l’altro si è pure capito che in futuro tale modalità dovrebbe e potrebbe essere ripensata e migliorata.
Ma si è pure capito, ma non da ora in vero, in maniera più precisa e determinata che la modalità telematica rischia di essere, e in tale modo da tanti è percepita, una minaccia alla trasmissione in presenza, la cui forza consiste nella capacità dell’insegnante di emanare magnetismo, di saper comunicare dei contenuti e di motivare la classe per far interiorizzare la propria materia.
In altre parole starebbe sembrando che i media digitali stiano mettendo alla prova “l’aura del magister”, sollecitando un salto qualitativo e spingono a rompere vecchi cliché, automatismi e routine.
E come se non bastasse (e chi ama frequentare gli aggiornamenti di didattica lo percepisce) i più aggiornati modelli pedagogici telematici insistono su figure di insegnanti quali guide tecniche, facilitatori di crescita, change makers o registi in ambienti di apprendimenti in aule virtuali, mentre il web e la dad sarebbero solo in attesa di legittimazione e di più ampia e condivisa implementazione.
Tuttavia, sono tanti gli osservatori che segnalano come non si tratti più di sostituire una modalità con un’altra, didattica in presenza contro didattica a distanza, ma di saper integrare queste due modalità, e non solo in considerazioni di eventuali altre crisi di frequenza ma anche come modello per alchimizzare la didattica.
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