(riflessione di un’insegnante di Scuola Primaria)
Ci hanno comunicato l’improvvisa sospensione delle lezioni la sera del 5 marzo 2019 e, dall’oggi al domani, ci siamo trovati sbalzati in una condizione assolutamente nuova.
La ragione ha dovuto fare i conti con l’imprevisto, nel tentativo di tenere a bada un groviglio di emozioni in picchiata come le montagne russe.
Per prima cosa: le scuole non sono chiuse, ma solo le lezioni sospese; implemento lessicale n° 1 (c’è sempre qualcosa da imparare!) : la differenza di concetto, di non poca importanza, tra “chiusura “e “sospensione”. Ma ce l’hanno spiegata subito la differenza: ovvero sospese le lezioni frontali, ma gli Istituti restano aperti, i DS in servizio, il personale ATA pure, i servizi di segreteria garantiti.
Da qui, primi dubbi: ci possiamo considerare in servizio? Potremo essere convocati comunque per Collegi, Consigli, riunioni di Staff?
No, impossibile, ribadisce la nota Ministeriale in concerto con le misure del governo; è una decisione volta a evitare la diffusione del contagio la cui prima regola è evitare il contatto, il “distanziamento sociale”.
E’ stata dura, pare, farlo capire a molti DS che, impavidi e non curanti delle direttive, lanciandosi in libere interpretazioni, hanno continuato a convocare gli insegnanti a scuola.
Per fortuna sono stati fermati, in prima battuta dalla diffida di alcuni sindacati, in seconda battuta dall’ultimo decreto che sancisce la chiusura di tutte le scuole sul territorio italiano, cosicché anche DS, personale di segreteria e ATA non sono più costretti a recarsi al lavoro, almeno fisicamente.
Appurata l’impossibilità di essere convocati a scuola, si è delineato subito, alle coscienze di noi insegnanti, il fatto di dovere pur garantire il sacrosanto diritto all’istruzione, anche in questa terribile emergenza sanitaria. Ma come farlo? E la didattica? E i rapporti con gli alunni? Con le famiglie?
Bene, la soluzione arriva da un’altra, tempestiva, nota ministeriale: “DIDATTICA A DISTANZA”: implemento lessicale n°2 (uh, quante parole nuove!)
Questa seconda chiarificazione è stata sottovalutata dal corpo docente; lì per lì, ci è sembrata un tentativo di rassicurare un’utenza sbigottita, quella delle famiglie, che di punto in bianco, sono state costrette a fare i conti con l’assenza del servizio educativo.
Solo all’indomani della proroga della sospensione delle lezioni, dal 16 marzo al 3 aprile, l’espressione “DIDATTICA A DISTANZA” inizia a prendere corpo e a diventare da “possibile alternativa” a unica “PRASSI EDUCATIVA”. Trasformando, in men che non si dica, la zucca in carrozza (perdonate la citazione fiabesca, ma passatemela come deformazione professionale).
Da quel momento in poi, c’è stato un susseguirsi di raccomandazioni dai piani alti a scendere, come una valanga, su quelli più bassi, vale a dire su noi insegnanti.
E, nel mezzo, tra i piani alti e quelli bassi, a fare da cuscinetto, ci sono state sempre le capacità interpretative dei DS ed i loro tentativi (non troppo spontanei a dire il vero, ma
vivamente sollecitati dagli Uffici Scolastici Regionali), di uniformare le azioni didattiche dei propri docenti. Uniformare, monitorare qualcosa che ha una consistenza poco normata e poco radicata nel nostro sistema educativo: LA DIDATTICA A DISTANZA, appunto.
Tuttavia, sono riusciti a ovviare alla fragilità metodologica rispetto all’uso delle tecnologie, e colmare il vuoto concettuale di molti insegnanti, con parole nuove che fino ad ora circolavano a macchia di leopardo nel nostro sistema scolastico, fatta eccezione, forse, degli Istituti Superiori in cui la consuetudine ad avvalersi di strumenti digitali è più frequente.
Le elenco qui di seguito (perdonate, se me ne sfugge qualcuna): piattaforme, classi virtuali, tutorial, WEB-binar, video lezioni, APP……
In nostro aiuto, arrivano pure le case editrici che, acquisita rapidamente la valenza pedagogica del concetto di Didattica a distanza, ci indicano link e piattaforme, fino ad ora sconosciuti. In più, il tutto accompagnato dal “#nonsietesoli!!
Ma, il colpo più duro da assorbire (almeno per ciò che mi riguarda), è stato quando si è sottolineato che tale didattica deve essere inclusiva. Ovvero avere una particolare attenzione nei confronti dei BES e della Disabilità…
E qui la “dissonanza “si fa sempre più forte. Mi chiedo: come fare per coinvolgere in videoconferenza per una classe virtuale, l’alunna straniera con cui a malapena riesco a comunicare in un rapporto a due? E con i cui genitori parlo attraverso un parente poco alfabetizzato in L2? E per l’alunna con difficoltà di concentrazione, la cui attenzione è intermittente come le lucine che abbelliscono l’albero di Natale? Che dire poi di quelle famiglie con svantaggio socio-culturale? E come la mettiamo con i genitori che lavorano tutto il giorno e lasciano i loro figli ai nonni? Come potrebbero questi ultimi vigilare i nipoti durante le lezioni on-line?
Il nostro sistema educativo è messo a dura prova in questo momento; ci sono disparità e diseguaglianze tra i vari Istituti, e non tutti sono preparati ad affrontare anche questa emergenza educativa. Ma questo è comprensibile. Ciò che, a mio avviso non lo è, è non ammetterlo. E spingere un buon numero di insegnanti a sopperire utilizzando mezzi con cui hanno poca o scarsa familiarità. La bufala più grossa è però un’altra: credere che la tecnologia, possa diventare prassi educativa quando dovrebbe essere uno strumento al servizio dell’azione didattica.
La relazione educativa fatta di contatto diretto, di empatia, di occhiate e sguardi complici, è insostituibile…Talvolta una telefonata, un messaggio vocale, anche utilizzando il tanto demonizzato WA con il cellulare, soprattutto in questo momento, possono risultare preziosi per mantenere il contatto (affettivo in primis, oltre che educativo) con alunni e genitori.
Io, sto facendo così. E lavoro molto di più. Preparo file audio che accompagnano lezioni, preparo lavori nel tentativo di intercettare i bisogni di tutti e comunico via mail (ormai mezzo primitivo…)
E sono consapevole che, al ritorno a scuola, ci sarà molto da fare per ricucire lo strappo.
Patrizia Battistini
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