La didattica ai tempi del corona virus (una voce fuori dal coro, dopo tante buoniste, ottimiste e autoreferenziali).
A partire dal 4 marzo gli insegnanti, sospese le attività didattiche in presenza, sono tenuti ad attivare una fantomatica e non meglio precisata didattica a distanza. La ministra Azzolina ha esortato le maestre a leggere, a distanza, le favole per i loro piccoli alunni. La ministra Azzolina si è commossa nel vedere una giovane discente abbracciare il monitor del computer all’apparire del volto rassicurante di una sua insegnante.
Paradigmatica appare la vicenda che vede coinvolto un Preside di un Istituto Superiore calabrese e il sindacato scuola della Gilda. La vicenda è nota a tutti e non è il caso di rievocarla per intero e nei particolari, ritengo però necessario puntualizzare quanto segue: il Dirigente non può imporre, tramite circolare, metodologie e tempi della didattica a distanza ai propri dipendenti perché illegittimo, assicura la Gilda. Nel caso specifico si richiedeva l’applicazione Meet associata alla piattaforma Gsuite, un orario di servizio che prevedeva 4 lezioni al giorno di 40 minuti ciascuna, annotazione sul registro elettronico degli alunni presenti e il tipo di attività svolta, possibilità per i docenti di effettuare verifiche formative e di dare i voti, verificando accuratamente la provenienza e l’autenticità della prova.
Da parte loro, molti degli insegnanti della scuola calabrese, hanno preso le distanze dall’azione del sindacato e hanno avallato le disposizioni del Dirigente evidenziando le loro ragioni in una lettera aperta. Essi affermano di essere preparati a gestire la didattica a distanza, avendo già utilizzato da diversi anni, con l’approvazione del Collegio dei docenti, le metodologie e gli strumenti consigliati dal Ministero dell’Istruzione (piattaforme dedicate, didattica capovolta, classroom) per l’emergenza Corona virus. Hanno acquisito competenze sulla didattica digitale, nel corso di oltre un quinquennio, attraverso la partecipazione a diversi corsi di formazione: corso di Perfezionamento sulla Flipped Classroom svoltosi presso l’Università di Padova, edizioni della Fiera della Didacta svoltasi a Firenze, vari corsi di aggiornamento della Flipnet e attività di ricerca-azione durate un intero biennio. E chi più ne ha più ne metta! Inoltre, sono riusciti, in soli due giorni, a fornire un elevato numero di notebook in comodato gratuito agli studenti che ne erano sprovvisti per consentire a tutti la partecipazione alla didattica a distanza.
Ottimo! Esempio ammirevole e virtuoso di innovazione ed efficienza realizzata, oltretutto, nel profondo sud dell’Italia. Cose da non credere. Ma è proprio qui che casca l’asino! Sta proprio qui l’inghippo. Questa è la riprova che la didattica a distanza, estesa a tutte le istituzioni scolastiche nazionali, anche a quelle che fanno fatica a rifornire, quotidianamente, i propri cessi di carta igienica e sapone liquido, in tempo di crisi e in situazione emergenziale non è possibile attuarla. Non si può improvvisare la didattica a distanza su due piedi, non si può pensare di colmare in un giorno quello che si è omesso di fare per anni. Senza formazione preventiva, senza sperimentazione pregressa, senza device (come direbbe la ministra Azzolina) ovvero, senza dispositivi informatici (e aggiungo io) gratuiti o in comodato d’uso per tutti, senza connessioni adeguate e ancora una volta “a gratis”, senza ledere il diritto alla privacy delle persone (studenti o insegnanti che siano, poco importa) come si pensa di poter svolgere un’attività formativa a distanza pienamente esaustiva e capace di sostituire in toto quella consueta, fornendo anche le stesse garanzie in termini di efficacia e correttezza per poter esprimere una valutazione serena dell’attività didattica svolta dagli alunni? Davvero qualcuno pensa di poter utilizzare queste lodevoli attività messe in campo, in fretta e furia, durante la sospensione dell’azione didattica ordinaria, in presenza, per poter promuovere o bocciare gli alunni? Non credo. Sarà, ovviamente, tenuto nella debita considerazione solo quello che è stato fatto prima della chiusura forzata delle scuole e quello che si riuscirà a fare dopo la riapertura (ammesso che ci sarà mai) ed entro il 6 giugno. Tutto quello che zelanti insegnanti riusciranno a fare in questa fase emergenziale, sarà di sicuro oggetto di plauso e di ammirazione generale, ma non sarà, ovviamente, valido ai fini dello svolgimento dei programmi né, tantomeno, ai fini della valutazione oggettiva del rendimento scolastico degli alunni.
Alla luce di quanto detto, suggerirei di cambiare la locuzione che in questa fase emergenziale qualifica l’attività a casa di studenti e insegnanti. A me piace definire questo sforzo immane e commovente “supporto didattico educativo ed emotivo a distanza in modalità emergenziale provvisoria”. Mi piace pensare che in queste condizioni estreme mi sia concesso di scendere dalla cattedra per essere solo di sostegno, d’appoggio a quanti, tra gli studenti, ritengono di dover impiegare questo tempo prezioso in maniera proficua e costruttiva. Affidandomi al loro buon senso e fidandomi della loro intelligenza, confidando nella loro voglia innata di conoscere e imparare, senza obblighi, senza costrizioni, senza infingimenti, senza false ipocrisie. Questo è il tempo dell’autodidatta, direi loro, armatevi di coraggio e di buona volontà. Bisogna essere temerari ed impavidi per sgobbare sui libri, per confrontarsi/scontrarsi con i concetti, le nozioni e la parola scritta. Non abbiate paura: i vostri insegnanti hanno indossato gli abiti di Virgilio, perché voi possiate avere lo stupore e la meraviglia di Dante.
Si parli in modo franco e sincero agli insegnanti, ma soprattutto agli alunni. Si dica loro che la didattica a distanza, senza la necessaria organizzazione e priva della dovuta sperimentazione preventiva è solo una fantasia, un’illusione, un miraggio, un’utopia, una fantasticheria. È solo una chimera. Continuiamo a supportare in ogni modo i nostri alunni, consigliamo loro di leggere dei libri miliari, di vedere dei film imperdibili, di visionare materiale didattico ed educativo valido a vario titolo sparso sul web, di esercitarsi con quesiti e sul materiale fornito dai loro docenti, di ripassare argomenti già svolti per consolidare le conoscenze pregresse, di studiare argomenti nuovi stropicciando intere pagine di libri che molto spesso rimangono intonsi, di dedicarsi ad attività creative che esaltino la fantasia e la capacità di inventare dal nulla insita in ogni essere umano, di parlare, approfittando di questa “reclusione” forzata in casa, di questa occasione unica, con i propri genitori, con i fratelli e con le sorelle, per chi ha in sorte di averne, guardandosi dritto negli occhi. Non è pensabile e neppure possibile immaginare, ipotizzare e realizzare una didattica a distanza, se questa non è stata precedentemente realizzata in situazioni e contesti ordinari. Non dico che la didattica a distanza sia, tout-court, impossibile da realizzare o da mettere in atto, dico solo che lo è se questa pratica è improvvisata, disorganizzata, raffazzonata, come quella attuata in questo momento di profonda crisi e grave emergenza. Si possono ipotizzare, pensare, e realizzare singole azioni didattiche a distanza, e ribadisco, mettendolo in evidenzia, singole azioni, più o meno efficaci e pertinenti, ma è impensabile è inimmaginabile di poter realizzare un’azione formativa a distanza, organica e adeguatamente strutturata che possa eguagliare, o nella migliore delle ipotesi, che possa lontanamente assomigliare ad un’azione didattica reale. Quale risultato si otterrebbe, in termini di comunicazione e comprensione, ove si volesse tentare di ricreare virtualmente l’articolazione e la vivacità (non mi riferisco a quella intellettuale, ovviamente) di una normalissima classe pollaio di cui la scuola pubblica è feconda? Chi non ha mai svolto attività didattica all’interno di una classe di 28/30 adolescenti non sa a cosa mi riferisco. Ammettiamo pure che sia possibile, all’interno di un’unica videata visualizzare, gestire e coordinare la compresenza (virtuale) di un tale numero di studenti. Mi chiedo, però, quanto possa essere fattiva, incisiva ed efficace un’azione didattica a distanza realizzata in tali condizioni precarie, soprattutto in relazioni alle inevitabili azioni di disturbo dovute ai limiti tecnici di siffatta comunicazione.
Nessun contratto nazionale docente prevede l’ipotesi di una didattica a distanza, neppure in situazioni di forza maggiore; nessun Collegio dei Docenti si è mai espresso a favore di una tale prassi lavorativa. Nessuna attività di formazione legata alla didattica a distanza è stata mai attivata e proposta agli insegnanti prima d’ora, se non in casi sporadici dove questo tipo di iniziativa è stata sperimentata in precedenza. Mai nessuno si è preoccupato di verificare se tutti gli alunni fossero nelle condizioni di seguire tali lezioni a distanza in quanto dotati di dispositivi informatici personali e/o di adeguata connessione ad Internet. Come si può pensare di intraprendere un’attività didattica ed educativa a distanza, di svolgere addirittura le parti di programma mancanti, di affrontare argomenti e tematiche nuovi senza prima aver appurato che tutti gli studenti, o chi per loro, abbiano firmato la liberatoria o che siano nelle condizioni oggettive di poter partecipare attivamente a questa nuova modalità didattica dettata dall’emergenza? Tutti devono poter seguire le difficoltose lezioni fornite in videochiamata dai docenti. Nessuno escluso. Il diritto allo studio va tutelato sempre e comunque a tutti. Nessuna discriminazione può essere perpetrata impunemente. Davvero qualcuno è convinto che si possa perfino valutare in itinere, o al rientro a scuola, l’attività didattica svolta da volenterosi e super tecnologici insegnanti, magari tramite questionari, test o quant’altro il feedback interattivo può assicurare? Sul serio c’è qualcuno di buonsenso che pensa di poter appioppare una valutazione negativa e insufficiente a colui il quale, povero studente, è sprovvisto di computer personale, di adeguata connessione, di liberatoria alle riprese in videoconferenza? Davvero è lecito avventurarsi in una tale sperequativa modalità di valutazione senza avere il benché minino rimorso etico e/o morale, senza incappare in una denuncia, senza perdere il sonno la notte? Saremo pronti, statene certi, al rientro a scuola, ad apprezzare con una benevola pacca sulla spalla l’impegno dei più volenterosi e a redarguire con l’inevitabile e inutile paternale lo scarso impegno dei molti. Tutto qui. Non più di questo sarà possibile fare.
E allora, evitiamo di nasconderci dietro un dito. Gettiamo la maschera. Il re è nudo. Smettiamola con questa suggestiva fantasia (mi stava per uscire la parola idiozia). La scuola deve essere incubatore e detonatore di acume e perspicacia non di sciatteria e pressapochismo, gli insegnanti non stanno mettendo in campo alcuna azione didattica, perché in queste condizioni e in mancanza di un’attività strutturata e ben collaudata, ciò non è neppure lontanamente pensabile. Non è proprio nella grazia di Dio. In molti (mi riferisco ai docenti) si stanno “sbattendo”, si stanno dannando l’anima, ognuno secondo il proprio buon senso e per senso di responsabilità, nell’illusione di poter adempiere ad un’attività promossa (non si capisce bene se solo consigliata, caldeggiata, oppure imposta) in maniera sprovveduta e raffazzonata.
Continuerò a pensare tutti i giorni ai miei studenti, col rammarico di non poterli incontrare fisicamente, amareggiato per non potergli trasmette quello che io so e quello che so fare guardandoli dritto negli occhi, sicuro che una volta usciti da questo surreale incubo potremo e sapremo recuperare il tempo perduto. Sapremo riprendere le fila del percorso didattico-educativo che si è interrotto. La didattica a distanza non si può improvvisare. La didattica a distanza disorganizzata fa più danni che bene. Le maestre continuino pure, tramite video telefonate, a leggere i libri per ragazzi ai loro giovani alunni. Ognuno è libero di fare quello che meglio crede in questa fase di emergenza e di smarrimento, persino di criticare il mio pensiero, ma vi prego, ve lo chiedo per favore: non venite a raccontare, pure a me, la favoletta.
Ivano Marescalco
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