La didattica in presenza è fondamentale, gli studenti sono contenti di tornare a scuola, è il mantra ripetuto di continuo, da luglio a questa parte, dal Ministero dell’Istruzione e amplificato dai media: perciò, da genitore di una ragazza di terza media, devo accogliere con entusiasmo il passaggio della mia regione, la Toscana, da zona rossa a zona arancione ed il conseguente ritorno dalla didattica a distanza alla didattica in presenza per tutta la scuola media.
Metto dunque a tacere il timore sotterraneo che questi pochi giorni di didattica in presenza còstino ad uno di noi un Natale in corsia, o febbricitante, o anche solo in quarantena; lascio da parte le perplessità sulle sei ore consecutive di lezione passate fermi al banco e sempre protetti dalla mascherina, con la minaccia di un rapporto disciplinare se ci alza o si solleva la mascherina al di fuori delle scarsissime e brevissime occasioni in cui è concesso.
Gli studenti sono felici, dice la Ministra, e tanto basta. Questa è la cosa più importante. Fino a che non apro il registro elettrico.
Prima sorpresa: sono previste cinque verifiche scritte in otto giorni di lezione. Decido di non demoralizzarmi: non è esattamente il comitato di benvenuto, ma pazienza, la scuola è anche questo, non sarà sufficiente a togliere il piacere del rientro agli studenti.
La seconda sorpresa arriva dalla circolare con cui la Dirigente Scolastica fornisce le indicazioni per il rientro a scuola.
Apprendo infatti che ci sarà una nuova assegnazione di aule per alcune classi, per la quale si chiede a docenti e alunni una «collaborazione costruttiva»: la frase sibillina e un po’ ansiogena è chiarita subito dopo.
Non è più possibile lasciare una classe nella palestra grande perché «fa troppo freddo» (mi ricordo, così, fra parentesi, che garantire la didattica in presenza non significa necessariamente garantire vere lezioni di scienze motorie: queste si fanno solo se e quando si può, ad esempio se non piove e si può stare all’aperto…), e allora due classi verranno spostate nell’auditorium, per il quale però, disgraziatamente, l’insonorizzazione non è stata ancora completata. Questo significa che gli studenti di quelle due classi dovranno «lavorare sottovoce» (!), «magari privilegiando anche lavori per iscritto» (!!).
Se non vivessimo una situazione da tragedia, se non ci fossero oltre 60.000 morti, mi sembrerebbe una farsa o uno scherzo di cattivo gusto.
Questa è didattica? Questa è una proposta formativa seria per ragazzini di 11-13 anni? Questa «didattica in presenza» che impone agli studenti di stare fermi e zitti nei loro banchi per 6 ore è davvero meglio della didattica a distanza? Anzi, questa è didattica o è una costrizione innaturale che serve solo a poter dimostrare di aver riportato i ragazzi a scuola?
Lucia Galli