I problemi scolastici ed educativi, direttamente o indirettamente legati a questa pandemia, non si risolveranno a breve. Buona parte degli interventi vengono considerati portatori di proposte e soluzioni più o meno approssimate, che non tengono conto dei problemi fondamentali che l’educazione si trova dinanzi.
Il limite tra diritto all’istruzione e diritto alla salute è sottile e la convivenza difficile. La scuola, l’amata e odiata scuola, anche nell’emergenza, continua a custodire le sofferenze e le speranze delle persone, si configura come un vasto, essenziale e delicato servizio sociale capace di cogliere le linee, talvolta sotterranee, che legano tra di loro i bisogni umani, i valori, le idee.
Non ha senso, pertanto, continuare la lotta tra scuole chiuse e scuole aperte, la salute e l’educazione sono valori assoluti e non si realizzano mai senza contraddizioni, sofferenze, sacrifici e limitazioni.
Come cittadini, come genitori, come insegnanti, come studenti, come lavoratori, come uomini di cultura, possiamo e dobbiamo dire che la salute e la scuola siamo noi e non il frutto di un sogno ad occhi aperti, di una pia illusione simile a quella del venditore di almanacchi di leopardiana memoria.
Di qui la convinzione che la situazione di crisi è, al tempo stesso, una sfida che dovrebbe permetterci di riprendere alcune questioni legate al deteriorarsi del sapere, delle conoscenze, della formazione e alla difficoltà a mettere in atto interventi socio-culturali e azioni politiche che sappiano rispondere alle insistenti domande di socialità, di lavoro, di istruzione e di tutela della salute.
Purtroppo, alla prova dei fatti, molti provvedimenti hanno proceduto a tastoni, hanno fornito soluzioni temporanee e provocato aspettative e timori, pronunciamenti e perplessità, alleanze e conflitti: ciò che per alcuni ha rappresentato la salvezza, per altri è stata la distruzione.
Dinanzi al convulso agitarsi delle cose e degli eventi, se non si riesce a prospettare una valida soluzione a questa difficile, complessa e problematica convivenza tra salute, lavoro e istruzione, che non necessariamente significa unanimità di vedute, ogni sforzo di democratizzazione della cultura, di tutela, di uguaglianza delle opportunità e di rafforzamento delle disuguaglianze sociali, culturali ed economiche, sarà vano.
Trascorso il giorno festivo in cui si è celebrata la fine della fatica delle restrizioni e dell’isolamento, ricominciano nuovamente i giorni feriali dell’ amarezza che fanno riaffiorare la dolorosa tensione delle tragedie dell’Alfieri, per il quale l’assoluta libertà equivale alla morte.
Tra mille travagli, tra un cauto ottimismo e un pessimismo critico, gli affaticati Ministeri incontrano sempre più difficoltà a restringere l’orizzonte dei problemi, a superare interessi, egoismi e chiusure, anche morali, e a dare vita ad un grande movimento di idee capace di cambiare la nostra scuola e la nostra società, di rendere più agevole l’ accesso al diritto alla salute, al lavoro e all’istruzione.
Purtroppo, nei periodi di sofferenza, silenzio e solitudine, il litigio e la conflittualità diventano paralizzanti e la scuola, inevitabilmente, si configura come luogo di scontro ideologico, terreno travagliato di palesi contraddizioni, oggetto di decisioni maturate all’ esterno e imposte senza neppure fornire gli strumenti per una loro attuazione.
L’identità amara ed implacabile della pandemia, la maschera malinconica del distanziamento sociale ed educativo, del dolore e della morte, appaiono, oggi, come una sfida all’igiene mentale di chi chiede, semplicemente, salute, educazione, pane e lavoro.
In una situazione così difficile, il fenomeno più preoccupante e la sfida altrettanto preoccupante, sono costituiti dalla disgregazione sociale ed educativa della persona, dallo smarrimento di chi va a picco senza lottare, dalla difficoltà a rimettere in piedi l’uomo tranquillo: il senso della precarietà sembra diventato l’unico orizzonte possibile e ben visibile.
È indubbio che qualcosa di misterioso sta sconvolgendo la nostra società, che uno strano virus, come un brigante, avanza nel mondo e lascia a terra, sui bordi delle strade, una lunga scia di paura, di dolore, di sofferenza e di morte. Per questo è importante fare appello alla responsabilità collegiale.
L’eroismo e il martirio non possono essere la via normale da percorrere. Occorre una saggia opera di ingegneria politico-educativa per arginare la disgregazione del tessuto sociale ed evitare che la scuola si trasformi in un condominio rissoso, in cui i punti di vista individuali e perfino i capricci possono avere il sopravvento sul bene comune.
La scuola è potenza costruttiva di umanità e, in un quadro di ebollizione sociale che genera incertezza, sofferenza e inquietudine, non può non rinnovarsi nelle strutture, nelle metodologie, nelle funzioni operative, per ritrovare l’unità e non lasciare nessuno a terra.
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