Riprendo, una volta di più, la mia lettera di qualche tempo fa intitolata “La solitudine degli insegnanti“.
Ora che giunge la notizia che un decesso dovuto a uno dei nove kit del suicidio acquistati on line in Italia riguarda una professoressa di 63 anni.
“Dopo 20 lunghi anni di dolore cronico, per insonnia, estrema solitudine, intolleranza ai rumori, mi sono procurata le cose necessarie online, ordinandole all’estero, più di un anno fa…”. La lettera d’addio era sul tavolo, non era indirizzata a un destinatario preciso: «Per chi mi trova», c’era scritto in testa. I carabinieri della stazione di Borgo Valsugana (Trento) l’hanno scoperta il 4 aprile scorso entrando in casa sua. Lei era già morta, distesa sul letto.
Questa docente, questa collega, ha cercato per mesi, lucidamente, come porre fine alla sua esistenza. Discretamente, come probabilmente ha sempre vissuto.
Scrive, Antonella (la docente suicida): “Molti anni fa ho cominciato a fare ricerche su internet per una morte pacifica, scrive. La vita a volte è ingiusta, così ora penso di aver diritto alla liberazione e alla pace. Spero quando leggerete questa lettera di aver avuto successo”.
Di aver avuto successo…
… e scrivo nuovamente dopo alcune discussioni avute recentemente in altri contesti pubblici, sull’opportunità o meno di rendere note le notizie di suicidi anche nel mondo della scuola, non solo di insegnanti, purtroppo.
Si ricordava il caso della val Venosta, in Alto Adige, e la necessità, a suo tempo, di evitare fenomeni di imitazione, come suggerito da alcuni esperti anche d’oltralpe. La strategia del silenzio.
Tuttavia, chiedersi, approfondire, almeno nei luoghi opportuni e tra professionisti, è necessario.
Una riflessione collettiva, anche.
Perché queste persone, queste colleghe, queste donne, che sono la grande maggioranza del corpo docente, meritano almeno un pensiero. Se i ragazzi mostrano grandi sofferenze, ancora di più.
Che si comprendano i motivi e si cerchino soluzioni.
Concludo, come nella lettera sopracitata, ricordando anche i tanti colleghi che dal Sud Italia, o altre regioni, si recano a lavorare nelle scuole di altre province. Non sono tempi facili, forse non lo sono mai stati. Ma se si può, cerchiamo di fare qualcosa.
Simonetta Lucchi