La disfatta umiliante dei dottori di ricerca, formati ed abbandonati

Mi ritrovo con rammarico a scrivere quanto di più umiliante sia stato (non) fatto per i Dottori di Ricerca, ovvero laureati brillanti, formati al titolo più alto conseguibile ed abbandonati a se stessi, con anni persi di lavoro (nelle Università anche gratuito, peggio che in nero) e sbeffeggiati non solo nel mondo della ricerca ma anche in quello della scuola, ovvero la loro “casa natia” per la quale potrebbe fare e dare molto.

Dopo le numerose richieste di valorizzazione e rivalutazione del titolo in termini di punteggio nelle graduatorie di terza fascia di istituto e di possibilità di accesso diretto ad un percorso di abilitazione (non gratuito, quindi, ma orientato a “completare” la propria formazione anche in ambito scolastico) non è stata intrapresa nessuna iniziativa dal Ministro dell’istruzione, ma ancora più umiliante non è stata data alcuna risposta, ne positiva ne negativa che sia, o giustificando l’impossibilità di azione alla necessità tortuosa (da quale punto di vista poi) della modifica di regolamenti. Come se non bastasse oltre la beffa di essere spudoratamente ignorati, attraverso una (chiamiamola)  distrazione, è stato fornito un vero e proprio danno ai Dottori di Ricerca: riguarda la valutazione e la ripartizione dei punteggi dei titoli presentabili.

Fino all’ultimo aggiornamento delle graduatorie di istituto, il titolo di dottore di ricerca valeva 12 (seppure pochissimi) punti ed in più era possibile aggiungere fino 10 punti ottenibili con master e corsi di perfezionamento. Due cose, giustamente, separate e distinte. Ora, con le nuove tabelle, si possono aggiungere un massimo di 22 punti, tra cui i 12 (sulla carta) del dottorato. Così facendo, però, un non-dottore di ricerca può conseguire, tramite master, corsi, certificazioni informatiche e linguistiche (che prima non valevano ed era meglio: i corsi di laurea attuali dovrebbero già garantire queste competenze informatiche e linguistiche)  almeno già 16 dei 22 punti raggiungibili negli altri titoli, riducendo la spendibilità del dottorato al massimo a 6 punti.

Sotto un altro punto di vista, un dottore di ricerca che fa valere 12 punti del proprio titolo (derivato da una dura e lunga selezione iniziale e in itinere, e soprattutto non a numero aperto, quindi non confrontabile minimamente agli “altri titolini”) può conseguire altri corsi e certificazioni per un numero di punti inferiore ad un non-dottore di ricerca. Ecco la grande penalizzazione servita. Si inneggia tanto alla qualità ed alla meritocrazia nella scuola e poi si fanno provvedimenti in direzione opposta. Perché? Il Ministro si può degnare almeno di dare coraggiosamente una risposta? Tra l’altro c’è anche un ricorso (costato non poco ai ricorrenti) intrapreso dall’Anief, il quale anch’esso lo sta tralasciando e ha chiuso la comunicazione con i dottori di ricerca umiliandoli ulteriormente. Qualcuno si degni di dialogare, ascoltare e dare delle risposte.

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