Una disuguaglianze, fra le tante che dominano la nostra società, che è enormemente cresciuta negli ultimi venti anni, e di cui nessuno parla, è la “Disuguaglianza” nel livello di istruzione, ossia nei titoli di studio che ognuno riesce ad aggiudicarsi
Di che cosa si tratta?
Il Sole 24 Ore riporta una analisi dell’istruzione italiana attraverso la diretta esperienza di un docente universitario.
“Possiamo chiamarle, molto approssimativamente, disuguaglianze di conoscenza che al giorno d’oggi, almeno la metà degli studenti non ha assolutamente, neppure alla lontana, la preparazione di base che – in teoria – dovrebbe possedere in virtù del certificato che esibisce (diploma di scuola secondaria superiore).
Spesso non ha neppure la preparazione che ci si aspetta da chi si è fermato alla scuola media inferiore. E in un numero di casi tutt’altro che trascurabile non ha nemmeno le competenze che, sulla carta, dovrebbero essere trasmesse e garantite dalla scuola elementare (ad esempio far di conto e non compiere errori di ortografia). All’attonito docente universitario può persino accadere di trovarsi di fronte uno studente che non sa eseguire una sottrazione elementare (1-5), o non sa addizionare 12 e 8 e deve ricorrere alle dita per arrivare al risultato (naturalmente quest’ultimo è un caso-limite, ma la domanda è: come ha potuto la scuola “certificare” le sue competenze e rilasciargli un diploma?). Per non parlare del titanico lavoro di correzione dell’italiano che incombe sui docenti quando giunge il tragico momento della tesi di laurea (o meglio di quell’esercizio che ci ostiniamo ancora a chiamare tesi).
Il docente continua nella sua impietosa analisi, “per quel che vedo quotidianamente, una parte degli studenti universitari ha un livello di organizzazione mentale che non è, semplicemente, un po’ meno buono di quello degli studenti bravi, ma è abissalmente inferiore, come può esserlo il livello di organizzazione mentale di un bambino di sei-sette anni rispetto a quello di un adulto. E, cosa ancora più triste, in molti casi il gap appare irrimediabile, in quanto chiaramente legato a percorsi scolastici disastrosi, a occasioni di conoscenza clamorosamente mancate e che difficilmente potranno ripresentarsi.”
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“Quello che i tanti studenti in difficoltà raccontano sugli insegnanti che hanno avuto, sul numero di supplenti che si sono alternati in certe materie, sui programmi svolti e non svolti, sulle licenze didattiche che tanti prof si sono presi, tutto questo restituisce un quadro della scuola mortificante. Un quadro, sia detto per inciso, in cui non si intravedono più, come un tempo, condizioni di svantaggio sociale, o tragedie familiari e personali, bensì solo prosaiche vicende istituzionali (e spesso familiari) di incuria e superficialità, approssimazione e leggerezza. In sostanza: l’ordinario modus vivendi di una società in cui, di fatto (anche se a parole lo neghiamo), la cultura, la conoscenza, lo studio sono divenuti assai meno importanti di tutto il resto.
Non mi interessa, qui, indicare di chi è la responsabilità, quello su cui vorrei attirare l’attenzione è invece l’enorme diversità di destino fra gli studenti”.
“Da un paio di decenni”, scrive ancora il docente sul Sole, “ abbiamo deciso che le nostre sono “società della conoscenza”, non c’è occasione in cui non ripetiamo che la conoscenza è la variabile fondamentale, che da essa dipendono i destini delle economie come quello degli individui; da anni e anni ci stracciamo le vesti, scendiamo in piazza, firmiamo manifesti e appelli contro la (presunta) inarrestabile crescita delle disuguaglianze economiche, e poi – chissà perché – di fronte agli spaventosi divari di conoscenza fra i nostri giovani, che certamente produrranno grandi disuguaglianze nelle loro vite, non diciamo nulla, li accettiamo come se non esistessero, o non fossero importanti. C’è qualcosa che non va. O sbaglio?”
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