In Italia c’è anche chi lavora quarant’anni e al momento della pensione lascia la buonuscita al suo datore di lavoro: è accaduto all’Università di Pavia, dove una ricercatrice ha lasciato il suo Tfr da ben 250.000 euro all’ateneo per sostenere la ricerca.
Il fatto, scrive la stampa locale, è accaduto sul finire del 2018: la donna si chiama Alessandra Albertini, ha 68 anni ed è professoressa di Genetica.
La somma lasciata all’ateneo lombardo è considerevole: ben 250 mila euro.
La donna, da anni a capo del Dipartimento di Biologia e Biotecnologia, ha spiegato che ha preso questa decisione perché “la maggior parte” dei suoi allevi migliori “in questo momento si trova all’estero”: un fenomeno che definisce una “emorragia ingiusta” contro la quale opporsi.
Perché nel nostro Paese abbiamo delle menti brillanti e dei lavoratori molto preparati “di 50 anni che hanno fatto lavori importanti e si presentano per una borsa di studio da ricercatore” e “non è normale un sistema così”.
La somma del Tfr, ha continuato la professoressa di Genetica, “serviranno a cofinanziare gli stipendi di ricercatori a tempo indeterminato e assegnisti di ricerca”.
Mantenere i giovani più brillanti in Italia, ha aggiunto la ricercatrice, serve anche a rendere indipendenti le ricerche dai ricercatori senior, che sembra che aiutano e collaborino con l’opera di sperimentazione, ma poi “si appropriano del tuo lavoro”.
Pur con le dovute differenze, nella scuola non ci risulta che qualche insegnante abbia mai donato la buonuscita alla scuola o al Miur per sostenere il precariato o la didattica.
Certamente, le condizioni sono diverse, ad iniziare dai compensi che percepiscono i docenti universitari rispetto a quelli della scuola pubblica: una differenza non da poco.
Per cui nella scuola la buonuscita, quasi sempre sotto i 100 mila euro, serve anche a lenire l’amarezza per avere percepito per decenni un compenso inadeguato alla mole di lavoro e alle responsabilità che ci si è presi.
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