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La famiglia del liceale 15enne suicida: la scuola ha taciuto

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“Andrea non era gay, era sensibile, gentile, intelligente, aveva letto più di mille libri. E’ stato vittima dell’ignoranza”. E dell’indifferenza di tutti, compresi i docenti e i compagni di classe. Sono accuse pesanti, che devono far riflettere, quelle lanciate dalla madre di Andrea, il ragazzo che il 20 novembre si è suicidato a Roma, nella sua casa. Le parole delle donna sono state pronunciate nel corso di una conferenza stampa nella sede del Siulp, sindacato italiano unitario di polizia, che ha offerto sostegno alla famiglia del giovane suicida. “Voglio sapere perchè un ragazzo di 15 anni, mio figlio, ha preso una sciarpa e si è impiccato”, ha detto la donna. Che poi ha puntato il dito sul’istituto che frequentava il figlio: “Dalla scuola nessuno ci ha informato, nessuno ci ha detto che ci fossero problemi di integrazione, ora voglio sapere”. 
Anche lei si pone le stesse domande sino ad oggi rimaste senza risposta. Com’è possibile che da un paio di jeans lavati male sia nata la persecuzione e gli insulti sul muro al ‘ragazzo dai pantaloni rosa, non fidatevi di lui perché è frocio’? O che dallo smalto per le unghie, messo affinchè non se le mangiasse e tornasse a suonare il pianoforte, siano arrivati quei borbottii, tanto che persino un insegnante lo ha ripreso? O da quella foto in maschera per carnevale, vestito da donna, sia nato quel tam tam di irrisioni?
“La procura di Roma ha aperto un fascicolo contro ignoti dove ancora l’ipotesi di reato non è stata formulata, e non si esclude però l’istigazione al suicidio, per verificare i fatti e le cause del suicidio di Andrea”, spiega l’avvocato sottolineando che la posizione della famiglia in questa fase, come parti offese, è “meramente incidentale; presenteremo memorie, istanze e se sarà necessario esposti e querele, ma non vi è nessuna aprioristica posizione accusatoria nei confronti di nessuno, né della scuola o di altri ma è necessario scoprire le cause del suicidio di Andrea”. Per l’avvocato è “trascurabile parlare della sessualità di un ragazzo che aveva compiuto 15 anni da una settimana”: il punto della vicenda è capire “se la questione dell’identità sessuale o dell’omosessualità sia stato il grilletto premuto contro questo ragazzo per vessarlo. Un ragazzo diverso da altri, con una cultura più ampia, e una voglia di approfondire la vita in modo diverso, vittima dell’ignoranza e forse anche dell’invidia”. E l’appello è “a tutti quelli che possono sapere qualcosa: parlino”.
Guarda dritto negli occhi la madre di Andrea, perché vuole essere ascoltata e anche capita: “l’identità sessuale di Andrea: da tempo era innamorato di una sua coetanea. Se fosse stato omosessuale non avrebbe avuto remore a dirmelo, io e mio marito abbiamo educato i nostri figli alla libertà e rispetto”.
Ma qualcuno lo prendeva in giro e quella pagina derisoria su Facebook che ha fatto il giro della scuola e oltre, di cui i genitori non sapevano nulla ora pesa così tanto, ora la madre può solo immaginare che cosa Andrea possa aver provato, che cosa avrebbe potuto fare lei per aiutarlo, consolarlo, fargli capire: “Non sospettavamo ci fossero problemi di integrazione a scuola, non sapevamo di quella pagina che girava con il nome storpiato, la foto vestito da donna, una foto di Carnevale. La scuola non mi ha mai detto nulla. Quando sono andata a parlare con gli insegnanti alla fine dello scorso anno di liceo mi hanno detto che era perfettamente integrato. Era un mio cruccio – racconta, perché Andrea veniva dalla Schola Puerorum della Cappella Sistina, una scuola maschile, aveva una formazione e una sensibilità diverse, e temevo che l’impatto con una scuola statale potesse essere difficile”. Ma “non mi hanno mai detto nulla, neppure quando il preside ha fatto rimuovere dall’imbianchino una scritta sui muri della scuola: “non vi fidate del ragazzo coi pantaloni rosa, è frocio’”.
Per la madre e il padre al liceo Cavour di Roma “c’era sì bullismo”. E ora vogliono sapere “se ci sia stato qualcosa o qualcuno che abbia spinto Andrea ad uccidersi. Chiediamo che la comunità si faccia carico del problema del bullismo e che la magistratura faccia chiarezza, che siano accertate le eventuali responsabilità dei ragazzi, anche se minorenni, e della scuola. Ve lo chiede la famiglia”.
A riprendere Andrea per quello smalto è stata anche un’insegnante, durante un’interrogazione. Il ragazzo era in piedi davanti a tutti e la docente lo apostrofa: “Tua madre che dice dello smalto che ti metti?”. Lo ha raccontato lui stesso alla madre, dicendo che poi tutto era finito con una sua battuta: “Basta che gli porto i nipoti”. E tutti si erano messi a ridere. Perché è vero Andrea “era ironico e autoironico”, come dice la lettera degli insegnanti che la madre ha citato, “ma si è impiccato”.
“Un ragazzo di altri tempi, un D’Artagnan” dice il padre, che tiene le braccia davanti al petto e non si concede lacrime, poi non resiste e si commuove pensando a quanto tempo non ha passato con suo figlio perché – come dice la madre – era a “spaccarsi la schiena per lavorare”, e ora quanto manca Andrea.
Andrea che aveva tanti progetti; la mattina del suicidio si era iscritto ad una gara di orienteering, la sera prima era andato a correre perchè voleva partecipare ad una maratona, e suonare il pianoforte, leggere, viaggiare. Andrea che a nove anni aveva la tessera della biblioteca comunale, aveva già letto più di mille libri, e sapeva usare quelle parole per rispondere, anche alle offese, forse anche in questo era diverso.
E poi era innamorato. ”A lui bastava questo. Cosa importa, chi amava. Anche se tutti lo sapevano che era innamorato di una coetanea, le aveva fatto trovare un pupazzo di neve sotto casa per Natale, l’avevo aiutato io”, ricorda il padre. “Un amore delicato e romantico”, eppure qualcuno aveva cercato di sporcarlo perché si era impadronito delle sue password di Fb e aveva lasciato una messaggio volgare sulla bacheca della ragazzina che amava. Con lei si era scusato e aveva chiarito. Ma resta il fatto che qualcuno gli aveva fatto anche quello sgarbo e su questo la postale indaga, come su quella indegna pagina facebook di insulti.
La madre aveva le password e ogni tanto ‘sbirciava’ le chat per assicurarsi che suo figlio usasse bene Internet. Ora torna su quel profilo per leggere i messaggi degli amici, e si sente più vicina a lui. Una laurea lasciata attaccata al muro per stare a casa con i figli, Andrea, e l’altro più piccolo, che ora non riesce ad andare a scuola. “Ha bisogno di un supporto psicologico, ne abbiano bisogno tutti, non riusciamo a stare soli”, dice la madre. Una donna che cerca il coraggio a costo di strapparselo di dentro: “Voglio la verità, voglio sapere che cosa è successo perché un ragazzo di 15 anni, mio figlio, ha preso una sciarpa e si è impiccato. Impiccato, impiccato”, ripete perché quella realtà é incomprensibile e ogni volta che gli dà un nome il dolore cresce, senza nemmeno la consolazione di una risposta.