Gentile redazione,
di recente, all’interno di una presentazione alle scuole, ho sentito un esponente delle forze dell’ordine dire, ai ragazzi che lo ascoltavano, che gli uomini in divisa e i magistrati hanno scelto la loro professione perché, al di là di tutto, “credono nella giustizia”.
Allora io, nella mia veste di insegnante, ho provato a formulare dentro di me un’altra domanda: “A cosa crede oggi una persona che sceglie di diventare un docente?”
Crede forse nel valore della cultura, nell’istruzione e nello sviluppo dell’esercizio critico della ragione da parte dei suoi allievi? Forse crede invece nella Costituzione e nel vivere civile e democratico, scevro da qualsiasi forma di violenza o discriminazione? Oppure crede maggiormente al posto fisso, al lavoro tutto sommato tranquillo e allo stipendio puntuale di fine mese? O a un ripiego professionale perché non è riuscito a fare nella vita quello che voleva?
In tutta onestà, non conosco la risposta. La sola cosa che so è la vera fede in cui credo io che è quella del mio io-studente, il quale aveva più speranze che reali possibilità, e che coltivava tanti sogni per il futuro, scegliendo proprio a sedici anni di diventare insegnante perché sapeva di nutrire la più grande delle ambizioni: condividere con le generazioni successive il segreto della propria passione (nel mio caso, gli studi umanistici), cercando di trasmettere a qualcuno dopo di me la brama inesausta dell’immaginazione del futuro e un desiderio mai colmato di conoscenza.
Michele Canalini