Carmelo Mirisola interviene in merito alla mozione per l’abolizione dell’insegnamento della religione cattolica e pone una domanda che necessita di un’adeguata risposta. Prima però occorre qualche precisazione.
Egli ricorda che nel nostro ordinamento “la laicità si esprime con la libertà di religione e non con l’indifferenza verso di esse”. Vero. Ma si parla appunto di religioni, non di una sola religione privilegiata, come è invece il caso attuale di quella cattolica a scuola. Rispetto alle diverse opinioni in ambito religioso lo Stato è equidistante. E tra di esse va considerata anche la non credenza, che ha pari diritti della fede religiosa (cfr. a es. Cass. civile, n. 7893/2020).
Non è invece vero che “L’abolizione dell’ora di religione cattolica comporterebbe una nuova legge costituzionale per la revisione della Costituzione Italiana all’articolo 7 senza il rispetto delle leggi internazionali che richiedono l’accordo tra le parti per ogni variazione di esse”. L’Accordo di Villa Madama (1984) oggi in vigore va distinto dal Concordato (1929), è libero da vincoli costituzionali e il suo profilo internazionalistico non impedisce che possa essere modificato unilateralmente.
Ecco infine la domanda: “le migliaia di docenti che svolgono tale insegnamento, con un’abolizione dell’ora di religione che fine farebbero?”. Se essa fosse sostituita da “insegnamenti laici, di storia delle religioni”, probabilmente molti docenti della prima materia potrebbero passare alla seconda, a patto che fossero disposti ad assumere un approccio pluralista e scientifico ai fenomeni religiosi e che superassero un regolare concorso basato su contenuti non confessionali. Agli altri, votati all’insegnamento “in conformità della dottrina della Chiesa”, potrebbero essere le scuole private di ispirazione cattolica a offrire adeguati posti di lavoro. Inoltre, poiché i docenti di religione cattolica sono formati, selezionati, incaricati e sorvegliati dalle diocesi, sarebbe il caso che la Chiesa se li pagasse pure coi propri soldi.
Mirisola per la precisione si riferisce a quanti “hanno superato un concorso o che sono stabilizzati [?] e che hanno sulle spalle rate, mutui, figli”. Costoro in realtà possono già ora (quando vengono a mancare loro le cattedre, magari per l’alto numero di non avvalentisi, oppure quando gli viene revocata l’idoneità dal vescovo) passare ad altro incarico e ben difficilmente vengono licenziati.
È egli stesso del resto a evocare un’altra anomalia, quella dei “docenti di religione che pure svolgono nelle scuole di appartenenza, oltre all’insegnamento, ruoli importanti che vanno dall’essere vicepresidi alle funzioni strumentali responsabile di progetti”. Una riforma seria dovrebbe porre fine anche a simili percorsi contorti e opachi come a ogni altro genere di più o meno sottile invadenza clericale nella scuola pubblica.
Andrea Atzeni
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