Intervenendo mercoledì al convegno di Treellle sulle scuole paritarie, il ministro Giannini ha fatto una dichiarazione a effetto: “Se domani mattina – ha detto – tutte insieme le scuole paritarie spegnessero le luci, cosa che non deve succedere, avremo un grande problema: dovremmo mettere sul piatto 6 miliardi di euro”.
La Fondazione Agnelli è d’accordo sul fatto che le luci delle scuole paritarie non vadano spente. Tuttavia, ritiene che l’affermazione relativa ai 6 miliardi sia discutibile da un punto di vista metodologico.
Il tema delle scuole paritarie e del loro finanziamento è delicato, spesso distorto da motivazioni ideologiche. Qui però non sono in discussione il ruolo della scuola paritaria e la libertà di scelta educativa, bensì l’appropriatezza dell’affermazione del Ministro (la stessa che, peraltro, si trova un recente documento delle associazioni delle scuole cattoliche). Alla cifra di 6 miliardi di euro si arriva così: gli studenti delle scuole paritarie in Italia sono poco più di un milione, il costo medio annuo per studente è stato calcolato in circa 6mila euro. Una semplice moltiplicazione ed ecco quanto costerebbe allo Stato riassorbire gli allievi del sistema delle scuole paritarie, nel caso, certo non auspicabile, che queste dovessero scomparire.
A questo ragionamento si possono muovere almeno due obiezioni. La prima è che all’interno del milione che frequentano le scuole definite “paritarie” sono inclusi anche circa 200mila bambini delle scuole dell’infanzia comunali, sostenute quindi dalle amministrazioni locali: formalmente non sono costi a carico del Ministero, ma della Repubblica certamente sì. Solo questo ridurrebbe la cifra a 4,8 miliardi.
Ma c’è una seconda obiezione, più sostanziale, che mette in dubbio lo stesso metodo di calcolo. Per la stima non è, infatti, corretto utilizzare – come fanno il Ministro e le associazioni delle scuole cattoliche – il costo “medio” per allievo, che comprende anche tutti i costi fissi che lo Stato sostiene anche a vantaggio delle paritarie (indicazioni nazionali, valutazione e vigilanza da parte degli USR e degli uffici territoriali, esami di stato ecc.). Bisognerebbe, invece, considerare quel che gli economisti chiamano il costo “marginale”, al quale dovrebbe corrispondere l’eventuale rimborso alle scuole paritarie
“Se anche “per assurdo” tutte le scuole paritarie chiudessero e lo Stato dovesse riassorbirne gli allievi – spiega Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli – il costo aggiuntivo che lo Stato dovrebbe affrontare sarebbe molto modesto. Infatti, nel complesso della scuola primaria e secondaria italiana il rapporto fra insegnanti e studenti resta uno dei più bassi a livello internazionale (lo conferma anche il recentissimo rapporto Talis 2013, secondo il quale il docente tipo italiano insegna in una classe di 22 allievi, contro i 24 della media Ocse). Per accomodare i circa 400mila studenti di scuola primaria e secondaria in più provenienti dalle paritarie non sarebbe necessario un significativo incremento di aule e insegnanti; basterebbe aumentare di poco più di un’unità la composizione media di ciascuna classe, con qualche variazione territoriale. Altro discorso, invece, è quello della scuola dell’infanzia, dove l’offerta dello Stato e degli enti locali è insufficiente, soprattutto nelle regioni meridionali, e andrebbe rafforzata: a questo proposito, si noti però che il 70% delle scuole paritarie dell’infanzia è al Nord e quindi non aiuterebbe a soddisfare il bisogno, dove esso è più forte”.
“Per chiarire il concetto – conclude Andrea Gavosto – se ho degli invitati a cena e ne arriva uno inatteso, quasi mai è necessario comprare un nuovo tavolo, imputandone il costo all’arrivo del nuovo ospite. Spesso basta aggiungere una sedia. E così si dovrebbe ragionare anche per i costi per lo Stato della scuola paritaria. Sono convinto che le stime risulterebbero allora sensibilmente più basse. E da quelle si dovrebbe partire per fare davvero un ragionamento non ideologico sulla scuola paritaria e sul suo ruolo in Italia”.
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